Israele, nasce governo Netanyahu: sì del Parlamento

Netanyahu ottiene il sì del Parlamento: con 61 parlamentari contro 59 d'opposizione, sotto scacco interno da parte degli stessi ultranazionalisti con i quali ha deciso d'allearsi, e schiacciato dalla pressione esterna della comunità internazionale, ha inizio il nuovo governo di Bibi

Israele, nasce governo Netanyahu: sì del Parlamento

Maggioranza incredibilmente risicata, ideali dichiaratamente ultranazionalisti e pericolose alleanze strette in extremis: sono questi i maggiori segni contraddistintivi del governo arrabattato dal Presidente israeliano Benjamin Netanyahu, che al pari di un novello MacGyver ha preso 61 parlamentari (su 120 totali), un cane sciolto (e con tanta voglia di azzannare) come il “nazisraelianoNaftali Bennet, una spillatrice ed una centrifuga; ha ingraffettato tutto insieme ed ha frullato per 30 secondi. Ottenendo i risultati che sono ora sotto gli occhi del mondo intero.

La maggioranza del premier rieletto sembra infatti incredibilmente instabile, oltre che impraticabile a livello internazionale, viste le ideologie incarnate dal nuovo governo di Netanyahu, tutt’altro che tolleranti o pacifiche. La solfa è sempre la stessa, trita e ritrita: gli israeliani sono il popolo eletto, e meritano per diritto di nascita di regnare sulle terre che Dio ha concesso loro. Fine. O sei dentro, o sei fuori, non c’è via di mezzo.

Purtroppo per Netanyahu però, la comunità internazionale (sì, pressappoco lo stesso aggroviglio di potenze occidentali che un sessant’anni fa decisero di innestare gli ebrei in Palestina, imponendo la loro decisione fregandosene apertamente di tutte le conseguenze geopolitiche del caso) sta remando negli ultimi mesi in tutt’altra direzione. Lui in realtà ci aveva anche provato a fare la figura del bravo ragazzo, parlando così dopo la sua elezione: “Cercheremo di salvaguardare la nostra sicurezza, e di batterci per la pace”.

Un discorso accolto con sonore risate provenienti dai banchi dell’opposizione. Immaginiamo che pure lui, dentro di sé, abbia sorriso; esercizi di cabaret. Perché la pace di cui parla “Bibi“, non è poi così dissimile dalla pax romana, utilizzata anche dagli statunitensi con preoccupante sistematicità, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi: “arriviamo-radiamo al suolo-pacifichiamo-tutti vissero felici e democratici”. Peccato però che lo storico alleato americano abbia iniziato a voltare le spalle ad Israele; sia un bisticcio tra amanti od un qualche cosa di più, sta di fatto che Barack Obama ha ribadito di recente la necessità della creazione di uno Stato palestinese riconosciuto, per assicurare la pace e la sicurezza al popolo israeliano.

Persino il Papa, nei giorni scorsi, aveva ufficialmente riconosciuto la Palestina quale Stato. Insomma, il cerchio si stringe attorno a Netanyahu  proprio mentre il buon Bibi riesce, con un colpo di coda e tonnellate di mastice, ad imbastire un nuovo governo e ricevere l’approvazione dal Parlamento. Ricapitolando: 61 parlamentari di maggioranza contro 59 d’opposizione, ricatti degli ultranazionalisti che non aspettano altro che il via libera per schiacciare definitivamente i palestinesi (“Altrimenti ti facciamo saltare il governo”) e fiducia internazionale ai minimi storici.

E quel che è peggio, è che ci si presenta così ai nastri di partenza. Figuriamoci quale sarà la situazione a metà corsa. Yedioth Ahronoth, il maggior quotidiano di Israele, aveva affermato che Benjamin Netanyahu si sarebbe trovato a capo di un esecutivo che “Egli stesso non avrebbe augurato al suo peggior nemico”. E visti i presupposti, non serviva una vista poi così lunga per riuscire a prevederlo. Bibi, ma in che guaio ti sei cacciato?

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