In Iran, otto modelle avevano deciso di posare senza hijab, il caratteristico velo islamico, e pubblicare le foto su Instagram. L’iniziativa è stata vista come un affronto imperdonabile al regime totalitario e fondamentalista del Paese, ed è stata ben presto soppressa dalla stessa macchina terroristica statale, mediante una retata che ha fatto scattare le manette ai polsi a tutte ed otto le ragazze.
A dare la notizia dell’arresto delle modelle è stato Javad Babaei, capo del tribunale per i crimini informatici, mediante la televisione di Stato. L’accusa per le giovani ora è di quelle pesanti, nella realtà retrograda e misogina del Paese islamico: “diffusione di cultura immorale, anti islamica e di promiscuità“.
In Iran infatti una donna non può esporsi in pubblico senza velo, pena per l’appunto l’arresto. E le fotografie delle otto modelle senza hijab sono state immediatamente viste come un affronto intollerabile dalla comunità musulmana al governo, tant’è che la rappresaglia è stata immediata e durissima.
Lo stesso Babaei ha poi spiegato che lo scopo della magistratura iraniana è proprio quello di “combattere chi commette questi reati in maniera organizzata“, e far sì che le donne non abbiano un modello al quale ispirarsi per ribellarsi al radicalismo religioso.
L’operazione, denominata “Spider II“, è durata due anni ed ha coinvolto un numero enorme di professionisti che operano nel settore della moda: 59 fotografi, 58 modelle e 51 fashion salon manager e designer sono stati infatti identificati dalla polizia, e lo scotto per la “ribellione” è stato salatissimo.
Tant’è che la stessa modella Elham Arab, una delle otto ragazze che avevano posato senza velo, domenica scorsa si è pubblicamente scusata in televisione nei confronti del procuratore locale, affermando che: “Tutti amano bellezza e successo, ma l’importante è sapere il prezzo che si pagherà per questo“. Parole che hanno l’amarissimo gusto della più totale umiliazione non solo per Elham, ma per tutte le donne iraniane.