Ormai da giovedì scorso l’intero Iran è percorso da una lunga protesta popolare che le istituzioni locali, nonostante le dichiarazioni iniziali piuttosto concilianti, stanno affrontando con una dura repressione e centinaia di arresti in tutto il Paese che, in queste ore, subisce anche il blocco dei social network.
Tutto è iniziato a Mashhad, una delle città più importanti dell’ex Persia, roccaforte dei conservatori che fanno riferimento all’ayatollah Ali Khamenei, e a quel Ibrahim Raisi che – nel Maggio scorso – sfidò l’attuale (moderato) presidente iraniano, feudo elettorale dell’ex presidente oltranzista Ahmud Ahmadinejad: qui, la protesta è nata, forse innescata, contro le politiche economiche del presidente Rouhani, che hanno portato all’aumento dei prezzi per i beni di prima necessità, un problema assai sentito nel paese, affetto da un elevato tasso di disoccupazione, e da una corruzione ormai sistemica.
Nel corso dei giorni, però, le dimostrazioni popolari si sono diffuse in diverse città dell’Iran, e hanno preso di mira i fondamenti dell’attuale repubblica islamica, in particolar modo i privilegi del clero locale, ben sostenuto da una propria forza paramilitare (i basiji, nati nel ’75 per volere dell’allora Guida Suprema Khomeini). Il presidente iraniano, a questo punto, è andato in televisione, spiegando che la gente ha diritto a protestare, purché ciò non scada nella violenza e nella devastazione, con riferimento ai numerosi episodi – avvenuti nei grandi centri del Paese – in cui le banche private sono state assaltate, con tanto di vetrine rotte, e le auto sono state rovesciate e date alle fiamme.
A conti fatti, però, è iniziata una feroce repressione. Ad oggi, si contano circa 13 morti tra i civili, 1 vittima tra le forze dell’odine, e centinaia di arresti distribuiti nelle principali città iraniane: tra questi, quello che più ha fatto scalpore è quello di una ragazza che, a Teheran, su un palco improvvisato in via Enghelab, ha sventolato il suo hijab bianco, proclamando il diritto delle donne a non portare il velo in pubblico (come, invece, da obbligo di legge, pena la rieducazione coatta). La giovane, aderente al movimento “My Stealthy Freedom” dell’attivista Masih Alinejad, che lotta per i diritti delle donne in Iran, è stata fermata dalle autorità il 27 Dicembre scorso, anche se il video della sua coraggiosa sfida sta circolando in tutto il web.
Anche quest’ultimo è finito nella morsa repressiva del regime. Nelle scorse ore, i social network, tra cui Instagram, e le app di messaggistica, come Telegram, sono state “bloccate temporaneamente“, a causa del loro coinvolgimento nell’organizzazione delle proteste.
Le reazioni in ambito internazionale non sono mancate. L’alto rappresentante per la politica estera dell’UE, Federica Mogherini, si è auspicata che il governo iraniano consenta la libertà di manifestazione e di espressione, pur senza violenza da ambo le parti, mentre il presidente USA, Trump, si è detto vicino al popolo iraniano “affamato di cibo e libertà“.
D’altro canto, il parlamento di Teheran, pur ammettendo che la protesta abbia basi legittime, nel caro vita, nella corruzione delle istituzioni, e dell’alto tasso di disoccupazione, si è detto certo che, dietro le proteste in corso, vi possano essere agenti infiltrati di Israele, USA, e della vicina Arabia Saudita, rivale d’area proprio dell’Iran (come dimostrato dalla recente crisi libanese).