Iran messo a ferro e fuoco dalla protesta del popolo "affamato di cibo e libertà"

Ormai da 4 giorni continua la protesta del popolo iraniano contro la corruzione delle istituzioni, la disoccupazione, ed il costo della vita. Dura la repressione delle istituzioni, che accusano USA, Israele, ed Arabia Saudita di fomentare i disordini in piazza

Iran messo a ferro e fuoco dalla protesta del popolo "affamato di cibo e libertà"

Ormai da giovedì scorso l’intero Iran è percorso da una lunga protesta popolare che le istituzioni locali, nonostante le dichiarazioni iniziali piuttosto concilianti, stanno affrontando con una dura repressione e centinaia di arresti in tutto il Paese che, in queste ore, subisce anche il blocco dei social network.

Tutto è iniziato a Mashhad, una delle città più importanti dell’ex Persia, roccaforte dei conservatori che fanno riferimento all’ayatollah Ali Khamenei, e a quel Ibrahim Raisi che – nel Maggio scorso – sfidò l’attuale (moderato) presidente iraniano, feudo elettorale dell’ex presidente oltranzista Ahmud Ahmadinejad: qui, la protesta è nata, forse innescata, contro le politiche economiche del presidente Rouhani, che hanno portato all’aumento dei prezzi per i beni di prima necessità, un problema assai sentito nel paese, affetto da un elevato tasso di disoccupazione, e da una corruzione ormai sistemica. 

Nel corso dei giorni, però, le dimostrazioni popolari si sono diffuse in diverse città dell’Iran, e hanno preso di mira i fondamenti dell’attuale repubblica islamica, in particolar modo i privilegi del clero locale, ben sostenuto da una propria forza paramilitare (i basiji, nati nel ’75 per volere dell’allora Guida Suprema Khomeini). Il presidente iraniano, a questo punto, è andato in televisione, spiegando che la gente ha diritto a protestare, purché ciò non scada nella violenza e nella devastazione, con riferimento ai numerosi episodi – avvenuti nei grandi centri del Paese – in cui le banche private sono state assaltate, con tanto di vetrine rotte, e le auto sono state rovesciate e date alle fiamme.

A conti fatti, però, è iniziata una feroce repressione. Ad oggi, si contano circa 13 morti tra i civili, 1 vittima tra le forze dell’odine, e centinaia di arresti distribuiti nelle principali città iraniane: tra questi, quello che più ha fatto scalpore è quello di una ragazza che, a Teheran, su un palco improvvisato in via Enghelab, ha sventolato il suo hijab bianco, proclamando il diritto delle donne a non portare il velo in pubblico (come, invece, da obbligo di legge, pena la rieducazione coatta). La giovane, aderente al movimento “My Stealthy Freedom” dell’attivista Masih Alinejad, che lotta per i diritti delle donne in Iran, è stata fermata dalle autorità il 27 Dicembre scorso, anche se il video della sua coraggiosa sfida sta circolando in tutto il web.

Anche quest’ultimo è finito nella morsa repressiva del regime. Nelle scorse ore, i social network, tra cui Instagram, e le app di messaggistica, come Telegram, sono state “bloccate temporaneamente“, a causa del loro coinvolgimento nell’organizzazione delle proteste.

Le reazioni in ambito internazionale non sono mancate. L’alto rappresentante per la politica estera dell’UE, Federica Mogherini, si è auspicata che il governo iraniano consenta la libertà di manifestazione e di espressione, pur senza violenza da ambo le parti, mentre il presidente USA, Trump, si è detto vicino al popolo iraniano “affamato di cibo e libertà.

D’altro canto, il parlamento di Teheran, pur ammettendo che la protesta abbia basi legittime, nel caro vita, nella corruzione delle istituzioni, e dell’alto tasso di disoccupazione, si è detto certo che, dietro le proteste in corso, vi possano essere agenti infiltrati di Israele, USA, e della vicina Arabia Saudita, rivale d’area proprio dell’Iran (come dimostrato dalla recente crisi libanese). 

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