L’Iran ha giustiziato un 23enne per aver ferito un paramilitare, nella prima esecuzione ufficialmente legata alle proteste che hanno travolto il paese da settembre, mentre le forze militari del paese sparano ai genitali delle donne impegnate nelle manifestazioni contro il regime, che vanno avanti dallo scorso settembre.
Le agenzia di stampa locali hanno confermato che il manifestante Mohsen Shekari è stato impiccato all’alba, a poco più di un mese dalla condanna. I parenti del 23enne hanno saputo della morte del loro congiunto mentre erano fuori dal carcere, ed attendevano notizie sull’appello da loro presentato contro la sentenza capitale. Le autorità non hanno riconsegnato il suo corpo alla famiglia, conferma lo zio del giovane.
Secondo quanto riferito, è stato condannato per “guerra contro Dio” per aver accoltellato un membro delle forze paramilitari Basij durante una protesta a Teheran il 23 settembre. Il fatto è avvenuto quando erano esplose da pochi giorni le rivolte in tutto il paese per la morte di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda uccisa a colpi di bastone alla testa dalla polizia morale perché non indossava il velo in modo corretto.
Nonostante questa sia la prima esecuzione confermata ufficialmente, gli attivisti sostengono che già altri manifestanti siano stati giustiziati in segreto, mentre ci sarebbero altre 11 persone condannate a morte, tra cui l’allenatrice di pallavolo e madre di 3 figli Fahimeh Karimi, più altre 5 la cui condanna è stata recentemente annunciate. “Corriamo il rischio di avere esecuzioni di manifestanti ogni giorno“, annuncia l’ONG Iran Human Right, definendo “un processo farsa” quello che ha portato alla condanna del giovane.
Nel frattempo le forze di sicurezza reprimono sempre più duramente le proteste contro il regime, che si stanno intensificando. Gli agenti sparano a distanza ravvicinata alle protestanti donne, colpendole su volto, occhi, seno e genitali, secondo quanto riferito dai medici iraniani che curano i feriti in segreto.