Iran, attore minacciato per tweet in favore delle nozze gay USA

In Iran, il celebre attore Bahram Radan si era espresso su Twitter a favore dei matrimoni gay, sulla scia della recente legge USA. Preso di mira dal quotidiano dell'Ayatollah, il 36enne è stato costretto a ritrattare ed a scusarsi pubblicamente, sotto minaccia di denuncia

Iran, attore minacciato per tweet in favore delle nozze gay USA

Bahram Radan, attore iraniano particolarmente celebre in patria, è stato costretto sotto la pesante minaccia di ripercussioni da parte dell’autorità religiosa a cancellare un commento su Twitter in favore dei matrimoni gay. Radan è un volto molto conosciuto nel suo Paese, a tal punto da essere stato etichettato come il “Brad Pitt iraniano”. Nonostante ciò, nemmeno il suo fascino e la sua grande notorietà gli hanno impedito di venire bersagliato da critiche pesantissime, sfociate in minacce nemmeno troppo velate, per essersi espresso a favore della legge sui matrimoni gay recentemente approvata negli Stati Uniti.

L’omosessualità è infatti considerata un peccato mortale nella Repubblica Islamica, e la legislatura attualmente in vigore in Iran la considera punibile in molti casi con la pena capitale. D’altronde, che l’Iran sia un Paese impregnato di oscurantismo e fondamentalismo religioso è cosa tristemente nota: basti pensare al caso di Atefeh Rajabi, la 16enne impiccata il 15 Agosto 2004 con l’accusa di aver praticato “atti incompatibili con la castità”.

Ancora più cruenta la vicenda di due giovani omosessuali giustiziati nel 2005, dopo essere stati brutalmente stuprati dai funzionari di polizia iraniani. L’Iran è dunque una sorta di piccola “oasi” dell’islamismo integralista, dove basta veramente poco per finire appesi ad una corda, anche quando si tratta di cittadini minorenni (in quel caso le autorità del Paese provvedono semplicemente a cambiare la data di nascita, per “rendere legalmente maggiorenni” gli incriminati).

Non c’è pertanto da stupirsi se Bahram, di fronte alle accuse del quotidiano Keyhan, ha compiuto la decisione più saggia: cancellare il tweet, e scusarsi pubblicamente. Grazie a questo l’attore ha dovuto ingoiare il rospo, come si suol dire, ma si è evitato conseguenze ben più gravi. Il Keyhan è il giornale propagandostico del supremo leader religioso iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, e non c’è quindi da stupirsi se si sia scagliato con incredibile violenza contro le dichiarazioni del Brad Pitt d’Iran.

In particolare, il quotidiano islamico aveva ventilato l’ipotesi di una denuncia di Radan al ministero della Cultura Islamica, deputato alla censura di ogni genere di materiale (tra cui ad esempio i film). Così giovedì scorso l’attore ha provveduto a riparare al proprio “errore”: “Ciò che è stato pubblicato su internet come una mia opinione riguardo alla legge della Corte Suprema degli Stati Uniti sui matrimoni gay è stato un errore, e non riflette la dignità del popolo iraniano, con il quale mi scuso”.

Il messaggio originale postato da Bahram recitava: “La legge della Corte Suprema statunitense sui matrimoni tra persone dello stesso sesso è storica, forse sulla stessa scala di quella che ha sancito la fine della schiavitù…da Lincoln a Obama”.

Tuttavia, nella battaglia verso il riconoscimento dell’omosessualità come “preferenza sessuale” (in Iran viene ancora considerata una pericolosa malattia, oltre che un crimine da punire con la morte) Barham Radan non è solo: migliaia di iraniani, a loro rischio e pericolo, si sono uniti alla lotta applicando l’oramai nota bandiera arcobaleno alle proprie foto nei profili Facebook.

La cosa che spaventa di più le autorità iraniane, infatti, è l’eventualità della normalizzazione dell’omosessualità. Soudeh Rad, attivista iraniano per i diritti dei gay operante a Parigi, ha spiegato al The Guardian che sta prendendo piede l’utilizzo del termine hamjensbaz (omosessuale) al posto del dispregiativo hamjensgara (pressappoco l’equivalente iraniano di “frocio”) nell’indicare i gay. La cosa, stando allo stesso Soudeh, preoccupa le autorità del Paese, che intendono invece continuare a demonizzare gay e lesbiche considerandoli malati da curare o sopprimere.

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