E’ una testimonianza-shock quella che arriva da Charlie Burrows, il prete incaricato di fornire supporto spirituale ai condannati a morte prima delle esecuzioni nell’isola-prigione di Nusa Kambagan, in Indonesia. Nusa Kambagan è una delle prigioni più dure del mondo, a tal punto da essersi guadagnata l’epiteto di “Alcatraz dell’Indonesia”.
Padre Burrows, nel corso di un’intervista citata dal Guardian Australia, ha parlato apertamente degli ultimi istanti vissuti con i prigionieri giustiziati tra mille polemiche tra la notte del 28 e il pomeriggio del 29 Aprile, raccontando la straziante storia di Rodrigo Gularte, un detenuto brasiliano che non ha realizzato di dover essere ucciso fino a pochi minuti prima dell’esecuzione. Gularte, 42 anni, era stato arrestato nel 2004 con l’accusa di contrabbando di cocaina, e la legislazione indonesiana prevede la pena capitale per reati di questo genere.
Quello che differenziava Rodrigo Gularte dagli altri detenuti, però, era la sua malattia: l’uomo era affetto da una grave forma di schizofrenia paranoide, e da disturbo bipolare. Ciò rendeva estremamente riuscire a fargli capire quale fosse esattamente la realtà che stesse vivendo. Charlie Burrows ha raccontato di aver provato in tutti i modi a spiegare a Rodrigo che sarebbe dovuto morire, ma l’uomo non è mai riuscito a realizzare la propria condanna a morte; almeno fino ai suoi ultimi, tragici attimi di vita.
“Sentiva le voci tutto il tempo-ha testimoniato Burrows-Gli ho parlato per circa un’ora e mezza, cercando di prepararlo per l’esecuzione. Gli ho detto <<Ho 72 anni, ed andrò in Paradiso molto presto. Quindi trova la mia casa lassù, e prepara un giardino per me”. Parole delle quali il 42enne brasiliano non sembrava riuscire ad intendere il significato: “Quando li hanno portati fuori dalle celle, quando hanno messo loro addosso le catene insanguinate, mi ha domandato: <<Sto per essere ucciso?>>”. A padre Burrows era stata concessa una deroga speciale: il permesso di consolare Rodrigo Gularte fino alla fine.
Il condannato a morte, incatenato al ceppo, si è rivolto così al prete: “Questo non è giusto, ho fatto un piccolo sbaglio, non dovrei morire per questo”, secondo quanto confessato dallo stesso intervistato. Padre Burrows ha parlato anche di come persino le guardie di una delle prigioni peggiori del mondo, siano scoppiate a piangere quando Mary Jane Veloso, 30enne condannata a morte insieme agli altri detenuti, ha dato l’ultimo saluto ai propri figli prima dell’esecuzione. La donna era riuscita a dissimulare “un falso senso di gioia” di fronte ai suoi bambini di 6 e 12 anni; almeno fino alle 14:00 di quel fatidico venerdì, quando le fu detto che era ora di andare.
“Ha pregato di avere più tempo” ha dichiarato Burrows, il quale ha poi raccontato dell’infinita sofferenza di quella madre, condannata a dare l’addio ai propri figli prima di venire uccisa: “Non potrò più stare con i miei bambini, non mi vedranno più. Non li vedrò più”. Momenti di altissima tensione emotiva, al punto che “Tutti scoppiarono a piangere-come racconta lo stesso prete-il direttore della prigione si sentì male. Mi dissero che non erano d’accordo, ma che dovevano fare il loro lavoro”.
Ma come in un film, quando sembrava essere oramai tutto perduto, è arrivato all’ultimo il provvidenziale intervento ex machina: Mary Jane Veloso non deve morire. “All’ultimo minuto si trovava ancora in cella, insieme a tre poliziotti. L’hanno riportata a Yogyakarta”. Non si è trattato tuttavia di un atto di generosità gratuita: la donna è stata risparmiata in extremis soltanto perché è stata ritenuta una testimone chiave nel processo che vede, come imputato, lo stesso trafficante di esseri umani che l’avrebbe sfruttata per il contrabbando di eroina in Indonesia.
Charlie Burrows ha poi rivelato che alcune delle guardie della prigione si sono rivolte a lui per ottenere conforto spirituale: “Siamo noi i responsabili per le sofferenze di questa povera donna, e delle famiglie?”. Il contesto delle esecuzioni non è stato solo canti congiunti, forza d’animo ed “Amazing Grace” dunque; ma terribili momenti intrisi paura, rimorso e sofferenza. Emozioni troppo forti, troppo intense, troppo umane per poterle descrivere a parole. Sebbene, grazie alla testimonianza di padre Burrows, possiamo ora avere un’idea di quali siano stati veramente gli ultimi attimi di vita di quei condannati a morte in Indonesia.