Il 12 giugno 2025 rimarrà una data segnata nella storia dell’aviazione civile. Quel giorno un Boeing 787 Dreamliner della Air India si è schiantato in una zona residenziale vicino a Mumbai, causando la perdita di 241 persone a bordo, inclusi tutti i membri dell’equipaggio, e altre 19 persone a terra.
Il solo sopravvissuto, una rara eccezione in un evento di tale portata, ha lasciato dietro di sé un mistero che ora sembra lentamente prendere forma grazie alle indagini in corso. Il comandante Sumeet Sabharwal, con oltre 8.200 ore di volo accumulate e una carriera consolidata, era a pochi mesi dalla pensione al momento dell’evento. Tuttavia, nuovi dettagli emersi da fonti vicine all’inchiesta e da colleghi della compagnia aerea hanno rivelato che Sabharwal attraversava un periodo di forte difficoltà psicologica, conseguenza di un lutto personale recente.
Secondo quanto riportato da esperti di sicurezza aerea e piloti di Air India, il comandante avrebbe manifestato segnali di distacco dal lavoro, prendendo frequenti congedi negli ultimi anni e, in particolare, un periodo di riposo dopo la scomparsa della madre. Le dinamiche di quanto accaduto, ancora oggetto di approfondimenti, hanno evidenziato un dettaglio tecnico inquietante: pochi secondi dopo il decollo, due interruttori del carburante nella cabina di pilotaggio sono stati spenti manualmente, causando una perdita immediata di potenza e il conseguente schianto.
Si tratta di leve dotate di un sistema di blocco che rende quasi impossibile un’operazione accidentale. Questo fatto ha spinto gli investigatori a considerare la possibilità di un gesto volontario, anche se il copilota Clive Kunder, più giovane ma esperto, era al comando durante il decollo mentre il capitano monitorava la situazione. Le autorità stanno ora esaminando con attenzione la cartella clinica del comandante, cercando di comprendere se i problemi di salute mentale, non ufficialmente diagnosticati dalla compagnia, abbiano giocato un ruolo determinante nell’accaduto.
Fonti interne a Air India e al gruppo Tata, proprietario della compagnia, hanno confermato che sia Sabharwal che il copilota avevano superato gli esami medici necessari per mantenere l’idoneità al volo. Dal punto di vista umano, emerge il profilo di un professionista stimato, definito da un ex collega “un gentiluomo completo”, che stava valutando un pensionamento anticipato per prendersi cura del padre novantenne. La scomparsa della madre sembra aver pesato profondamente sul suo equilibrio emotivo, alimentando una condizione di malessere che potrebbe aver portato a una scelta estrema.
Il rapporto preliminare diffuso dalle autorità indica che la sequenza degli eventi nella cabina di pilotaggio è stata confusa: durante la registrazione delle conversazioni si sente uno dei piloti chiedere spiegazioni sull’intervento agli interruttori, mentre l’altro nega di averli azionati. Il carrello di atterraggio non è stato sollevato, e il tentativo di riaccendere i motori dopo la perdita di potenza è avvenuto troppo tardi per evitare l’evento. Questa vicenda solleva interrogativi non solo sulle cause tecniche e umane, ma anche sulle procedure di monitoraggio della salute psicofisica dei piloti, la cui responsabilità è enorme quando si tratta di vite umane. La storia di Sabharwal evidenzia come anche professionisti esperti possano affrontare fragilità nascoste che rischiano di sfociare in conseguenze molto serie. Le indagini proseguono per fornire risposte definitive e, soprattutto, per imparare dagli errori e prevenire situazioni simili in futuro, nella speranza che il ricordo di chi è stato coinvolto diventi motore di un cambiamento più attento alla salute mentale e al benessere di chi vola.