Il New York Times contro la discriminazione delle persone brutte

Dopo il body shaming e il cat calling, ecco la nuova frontiera del politicamente corretto: contrastare il lookism. Per il New York Times la discriminazione delle persone brutte sarebbe da considerarsi un reato.

Il New York Times contro la discriminazione delle persone brutte

La bellezza è un dono di natura, non è una colpa né un peccato. Ma il New York Times non la pensa così e ha iniziato una battaglia contro il lookism, cioè contro le discriminazioni delle persone brutte. Secondo il quotidiano americano, le persone di bell’aspetto “rubano” parecchie opportunità a quelle con cui madre natura non è stata particolarmente generosa.

Questo fenomeno è particolarmente evidente per le donne, che vengono valutate quasi sempre per la loro bellezza fisica e raramente per la loro intelligenza o per la loro cultura. Un fenomeno dominante nel mondo della moda, del cinema, dello spettacolo, della pubblicità, della televisione, dove se non sei bella ti si chiudono parecchie porte in faccia. È recente la notizia di ragazza che non è stata assunta in un negozio solo perché grassa e quindi ritenuta dal suo potenziale datore di lavoro impresentabile per i clienti.

Questa tendenza a valutare le persone per il loro aspetto fisico, secondo il NYT, finisce per penalzzare soprattutto le persone brutte, continuamente messe da parte, anche se spesso sono più capaci e competenti delle persone attraenti. Il New York Times si chiede come mai questa realtà venga taciuta dai mezzi di informazione, nonostante che le denunce per discriminazioni sull’aspetto fisico sarebbero addirittura maggiori di quelle che riguardano la razza, il sesso o la religione.

Insomma, per il quotidiano americano il looksim sarebbe un reato penale. Un reato agevolato dalla mancanza di associazioni che tutelano i brutti dagli handicap sociali che subiscono: dalla ragazza che non viene assunta perché troppo grassa a quella che viene respinta dagli uomini perché ha i brufoli e la cellulite. Una realtà diffusa perché frutto di un istinto naturale che porta a non percepire la gravità sociale e psicologica del lookism.

Il New York Times punta il dito anche contro una società che celebra la bellezza in modo eccessivo, sottovalutando gli effetti dannosi che questo può avere sulle persone non avvenenti. L’unico possibile rimedio alle molteplici discriminazioni di cui soffrirebbero i brutti, stando al NYT, sarebbe quello di cambiare non solo la mentalità, ma anche le norme e le pratiche, prendendo come esempio la decisione della Victoria’s Secret di mettere da parte le sue bellissime modelle per rimpiazzarle con donne che si sono distinte nei loro rispettivi campi professionali ma che non eccellono certamente in leggiadria.

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