Il dittatore sanguinario Joseph Desirè Mobutu noto come Mobutu Sese Seko diede vita per 30 anni ad un governo cleptocratico, dominò il Paese in modo paternalistico e autoritario autoproclamandosi il padre di tutti congolesi e innalzando il culto della sua personalità. Il Grande Leopardo cambiò la costituzione per farsi rieleggere e represse ogni tipo di opposizione, l’occidente benevolo volse altrove lo sguardo mentre in Congo i diritti umani non erano più rispettati da anni: dopo la sua caduta, l’orrore della guerra ha partorito un olocausto.
Il congolese Guerlin Butungu, capobranco del gruppo di stupratori di Rimini, ha messo in atto in Italia un’usanza chiamata gang rape: in Congo tale raccapricciante fenomeno è ampliamente diffuso. Nel 2010 la rappresentante ONU per le violenze sessuali, Margot Wallstrom, aprostrofò il Congo come “la capitale mondiale degli stupri” i carnefici rimangono sempre impuniti: sentenziò inoltre che “il Congo è il posto più pericoloso al mondo per una donna”.
Bande di stupratori prelevano le ragazze dalle proprie abitazioni nel cuore della notte per violentarle a turno e gettarle via, come rifiuti: Butungu ha replicato un gang rape pensando di rimane impunito? Perché non si pone l’accento, semplicemente, sul retroterra culturale di alcuni migranti? Osare porre tale problema, in un’evidente ottusità intellettuale, genera accuse di razzismo, generalizzazione becera.
Lo stupro in alcune culture non è un reato, è la quotidianità terrificante di molte donne. La violenza permea gli uomini di qualsiasi nazionalità, arginare la brutalità è un imperativo che non consente sfumature.
Ex miliziani congolesi intervistati sul lago Kivu nel 2013 dal Guardian hanno riportato perfettamente l’atrocità delle violenze: “Eravamo in venticinque e abbiamo stabilito che avremmo violentato dieci ragazze a testa…Io ne ho stuprate 53 ed anche bambine di cinque o sei anni”.
Il gang-rape non concerne solamente le guerriglie interne al Paese, il fenomeno è drammaticamente presente sul territorio. “Non sanno di cosa si tratta. Vengono violentate, ma pensano che sia normale” ha spiegato un’operatrice di Intersos, agenzia umanitaria italiana che opera sul territorio dal 2010. Le vittime di violenza non sono solo donne ma anche ragazze e bambine.