Il Giappone è noto per essere un Paese particolarmente sensibile ai fenomeni tellurici e vulcanici, tant’è che le stesse isole giapponesi risultano essere fatalmente collocate proprio all’interno della cosiddetta “cintura di fuoco” del Pacifico. Basti pensare che il Giappone ospita attualmente 165 vulcani, dei quali ben 108 risultano essere ancora attivi; inoltre, terremoti e tsunami distruttivi sono particolarmente frequenti, e possono presentarsi numerose volte nell’arco dello stesso secolo. Nonostante ciò, il Paese asiatico è stato per lungo tempo tutt’altro che all’avanguardia nella prevenzione dei danni causati da questi fenomeni nell’edilizia.
Un esempio? Il generale Billy Mitchell, controverso eroe americano, nel corso di un viaggio in Giappone nel 1924 venne incaricato di stilare un rapporto sulle debolezze della nazione, in previsione di un futuro conflitto con gli Stati Uniti d’America (la favola di Pearl Harbor-attacco peraltro profetizzato dallo stesso Mitchell nel suo rapporto di 324 pagine-è altamente suggestiva, ma che sarebbe scoppiata una guerra tra le due superpotenze per il controllo del mercato asiatico era cosa già nota ad ambo le parti nei decenni precedenti; l’unica incognita era il “quando”).
Così Mitchell ebbe modo di apprezzare i danni inferti al Giappone da quello che passerà poi alla storia come il Grande Terremoto del Kanto, uno degli eventi sismici più devastanti mai vissuti dal Paese. Le scosse, di magnitudo 7.9, distrussero gran parte della regione di Kanto, devastando Tokyo ed il porto di Yokohama, oltre a Shiba, Kanagawa e Shizuoka. Ma il punto focale della vicenda, fu che la strage venne amplificata dal fatto che il terremoto colse i giapponesi alla fatale ora di pranzo: i molti fuochi accesi per cucinare fecero divampare un incalcolabile numero di incendi.
Le fiamme dilagarono facilmente, bruciando intere città e fondendo persino l’asfalto delle strade; molte persone trovarono una tragica fine affondando tra i liquami bollenti di ciò che rimaneva del manto stradale, mentre tentavano di fuggire. Mitchell annotò tutto con perizia, evidenziando i danni che il fuoco era in grado di apportare alle città del Sol Levante, costruite ancora per buona parte in legno.
E grazie alle sue rivelazioni vennero successivamente messe a punto, appositamente per essere utilizzate contro il Giappone, i prototipi di bombe M-47 e M-69, meglio conosciute al grande pubblico con il soprannome di “bombe al napalm“. Armi che vennero poi testate proprio su ricostruzioni-tipo delle città giapponesi nei laboratori statunitensi, e successivamente utilizzate nel corso della guerra.
Da allora però, sembra essere passata un’eternità: il secondo conflitto mondiale ha infatti svegliato le potenzialità del Giappone, che ha abbandonato (o per meglio dire “sacrificato”, volendoci allineare con lo spirito nipponico) molte delle proprie antiche tradizioni, per focalizzarsi sulla sopravvivenza dello Stato in epoca moderna, possibile unicamente grazie allo sviluppo del progresso tecnologico. E con l’avanzare della tecnologia, è migliorata anche l’attività di prevenzione. Così quando questa mattina il possente Shindake ha eruttato a Kuchinoerabu, non sono stati registrati morti né feriti.
L’isola si è infatti svegliata sotto la minaccia di scurissime nubi di cenere, che avevano gonfiato il cielo facendo presagire il peggio. Per questo le autorità locali hanno prontamente ordinato l’evacuazione, ed i residenti si sono immediatamente spostati verso l’isola di Kyshu, quella più a Sud dell’intero arcipelago. L’eruzione è stata uno spettacolo di rara maestosità: le agenzie giapponesi hanno infatti classificato l’evento di grado 5, su una scala che va per l’appunto dall’1 al 5. Il che significa massima violenza ed intensità: lo Shindake ha tuonato squarciando il cielo, ed offrendo agli spettatori una magnifica pioggia di lapilli roventi.
Il tutto senza mietere nemmeno una vittima. Perché il Giappone, per quanto abbia mantenuto viva una parte delle sue tradizioni, è oramai un Paese completamente diverso da come si presentava una sessantina d’anni fa. Ed ha saputo imparare non solo a sopravvivere, ma addirittura ad imporsi come potenza di primo piano nel mondo odierno. Sotto questo aspetto, si può senz’altro dire che l’esito della Seconda Guerra Mondiale sia stata, per i giapponesi, una vera e propria prova del fuoco; un esame passato con il massimo dei voti.