La guerra non si combatte solo nelle strade deserte di un’Ucraina inorridita. Già nei giorni precedenti il conflitto tra Russia e Ucraina si è assistito ad un’incessante battaglia informativa per contestare, a livello nazionale e internazionale, la narrazione di ciò che sta accadendo in Ucraina e del perché: “In guerra, la verità è la prima vittima“, scriveva appunto il drammaturgo greco Eschilo.
In tempo di guerra, gli Stati rischiano la sopravvivenza e sono quindi più disposti ad adottare misure estremamente energiche e rischiose. Ciò include anche la diffusione della disinformazione e la censura delle posizioni critiche. Succede così che le informazioni a cui hano accesso i cittadini di un Paese non coincidano con la narrazione dell’avversario. È comune per gli ucraini avere parenti oltre il confine con la Russia, molti dei quali credono fermamente ai messaggi ufficiali del Cremlino, si rifiutano di credere che i soldati russi siano in grado di bombardare persone innocenti o negano che una guerra sia in corso.
Il New York Times ha riportato la storia di una donna ucraina, Valentyna V. Kremyr, i cui fratelli in Russia si sono mostrati increduli davanti al suo resoconto dei bombardamenti. “Credono che nessuno stia bombardando Kiev“, e che i russi stiano prendendo di mira esclusivamente le infrastrutture militari, ha raccontato. La risposta di sua sorella tramite messaggio è stata sconcertante per lei: “Dovresti aver paura dei nazisti contro i quali tuo padre ha combattuto. Amiamo il popolo ucraino, ma devi pensare a chi hai scelto come presidente“.
Molti russi ritengono che sia l’esercito ucraino il vero autore dei massacri e della distruzione attribuita ai russi. Altri sostengono che l’Occidente fomenta questa guerra, che le compagnie di difesa occidentali stanno aumentando i loro profitti grazie all’acquisto di fonti di energia alternative per l’Occidente.
Intanto l’Unione europea ha bloccato i media di proprietà del governo russo, Sputnik e Russia Today a più livelli e piattaforme. A sua volta, Putin ha bloccato la stampa estera e nazionale, così come Twitter e Facebook attraverso una legislazione che può punire con lunghe pene detentive ciò che il governo etichetta come disinformazione.