In un’intervista rilasciata al quotidiano francese Le Parisien, uno dei poliziotti che ha partecipato al raid nell’Hyper Cacher di Parigi, dove Amedy Coulibaly aveva preso in ostaggio alcune persone, ha voluto spiegare come ha vissuto quei giorni di grande paura, per la Francia e per il mondo. Antoine, questo il nome di fantasia scelto dal giornale per non rivelare la vera identità del poliziotto, racconta che “Già eravamo in allerta, ovviamente, dopo l’attacco allo Charlie Hebdo, e il mercoledì io, assieme ad altri miei colleghi, avevamo preso parte alla caccia ai fratelli Kouachi (gli attentatori dello Charlie Hebdo, ndr). Quando, venerdì mattina, ci hanno comunicati che erano stati localizzati, abbiamo avuto un po’ di frustrazione per non averli presi noi, ma anche un gran sollievo nello scoprire che erano stati intercettati“.
“Fu in quel momento”, racconta il poliziotto, “che ci informarono della presa di alcuni ostaggi alla Porte de Vincennes, mentre eravamo a pranzo io e altri colleghi: abbiamo avuto pochi minuti per raccogliere le nostre armi e le nostre attrezzature, e siamo giunti sul posto”. La notizia dell’Hyper Coucher, racconta Antoine, è arrivata alle 17: “Sapevamo che c’erano già stati almeno 3 morti, e che Coulibaly era ben equipaggiato. Fu in quel momento che scoprii che sarei dovuto essere in testa alla prima colonna d’assalto all’entrata principale del supermercato“. Per Antoine non era la prima volta, e conosce bene le procedure d’ingaggio in queste situazioni: “Preservare la vita degli ostaggi è il nostro primo obiettivo, ma non c’è una regola che valga per tutti: bisogna adattarsi in pochi secondi alla situazione che si trova davanti”.
Paura? “Può sorprendere, ma no, in questi casi resto relativamente calmo“. Antoine, poi, passa a spiegare i dettagli del raid di cui è stato protagonista: “Appena alzata la serranda, ho subito visto il corpo di un ostaggio a terra. Poi, circa dieci metri più avanti, spunta Coulibaly con un’arma in mano. Mi spara, ma colpisce il giubbotto antiproiettile, e continuo ad avanzare sparando, spostandomi di fronte agli ostaggi, in modo che non venissero presi di mira”. “Dopo”, prosegue Antoine, “Coulibaly comincia a correre verso l’ingresso, colpendomi nuovamente al giubbotto, prima di essere sparato dai miei colleghi“. I momenti immediatamente successivi non cala la pressione, perché i poliziotti non sanno ancora se ci fossero altri complici all’interno del supermercato.
Solo dopo che la situazione si è calmata, e che si è scoperto che Coulibaly era solo, tutto torna alla normalità, e Antoine si può concedere una rilassante cena tra colleghi, parlando del ‘turbolento’ pomeriggio appena passato. Quello dell’uomo-scudo, il poliziotto che va in avanscoperta, non deve essere un bel mestiere, ma Antoine non vuole sentirsi chiamare eroe: “Si tratta di una illuminazione che ho avuto circa 20 anni fa, quando il GIGN ha lanciato l’operazione anti-dirottatori a Marignane (l’aeroporto di Marsiglia: siamo nel 1994, ndr). Lì mi giro verso mia madre e dico: ‘Questo è quello che voglio fare’. Da allora, ho faticato tanto per essere qui, ma alla fine posso dire con soddisfazione di svolgere una bella professione“.