Brasile: Brasile: indigeno porta in spalla suo padre a vaccinarsi camminando 12 ore nella foresta Amazzonica

Tawy, un ragazzo brasiliano di 24 anni che vive nel cuore della foresta Amazzonica, ha portato il padre di 67 in spalla per 12 ore fino al centro medico più vicino affinché si vaccinasse contro il Covid. Un'impresa che supera ogni barriera, naturale e mentale.

Brasile: Brasile: indigeno porta in spalla suo padre a vaccinarsi camminando 12 ore nella foresta Amazzonica

Un ragazzo brasiliano 24enne di nome Tawy, che vive nel cuore della foresta Amazzonica, ha caricato il padre 67enne Wahu in spalla, l’ha legato con il suo jamanxim, una portantina di corde intrecciate, e s’è messo in viaggio per 12 ore per raggiungere il centro medico più vicino affinchè si vaccinasse contro il Covid. 

L’uomo è incapace di muoversi autonomamente perchè affetto da gravi problemi di salute e Tawy ha messo a disposizione le sue gambe affinchè il padre potesse ricevere il siero vaccinale. 

La vicenda 

Il Brasile è uno dei paesi più colpiti dalla pandemia a causa delle scellerate scelte politiche di Bolsonaro. Tawy si è messo in marcia, percorrendo la fitta foresta con il padre sulle spalle, per 6 ore all’andata e 6 ore al ritorno, guadando ruscelli, scavalcando burroni, arrampicandosi su pendii scoscesi, schivando rami-trappola. 

Ma il gesto di Tawy va ben oltre un atto d’amore verso il papà, ha sfidato l’indifferenza del popolo degli Zó’è, cui appartiene; un’etnia di 325 uomini e donne che vivono, riuniti in 50 piccole comunità, nella selva amazzonica del Nord del Pará, in Brasile.. una tribù estremamente isolata che solo di recente ha iniziato ad avere contatti con il resto della società. Appena sentito il messaggio alla radio con cui l’équipe medica comunicava la distribuzione delle dosi nel Nord del Pará, s’è messo in marcia. E ce l’ha fatta.

Il medico che coordinava la squadra di vaccinatori, Erik Jennings Simões, ha voluto immortalare l’arrivo di padre e figlio nel centro vaccinale con la sua macchina fotografica. Lo scatto risale a quasi un anno fa: esattamente al 22 gennaio 2021, quando la campagna vaccinale in Brasile era cominciata da cinque giorni e agli indigeni, particolarmente fragili di fronte al virus, era stata data priorità. 

Per 12 mesi, il dottore l’ha conservata e solo ora ha voluto diffonderla su Instagram come immagine-simbolo del 2021 appena terminato. Per il neurochirurgo 52enne, da vent’anni impegnato nella cura dei popoli della foresta, la foto di questi «Enea e Anchise amazzonici» dà un segnale di speranza nel mezzo della nuova escalation di contagi nel mondo.

Anche in questi territori così impervi il virus è arrivato, seminando distruzione e morte. Questo lo sanno bene, ad esempio, gli Yanomami o gli Araribóia, flagellati dal virus portato dai cercatori d’oro clandestini e dai trafficanti di legname. In base ai dati ufficiali della Segreteria per la salute indigena (Sesai), finora la pandemia ha colpito 57mila nativi brasiliani e ne ha sterminati 853. Una cifra tutt’altro che esigua per tribù costituite spesso da poche decine di persone.

Secondo l’Associazione dei popoli indigeni brasiliani (Apib), i numeri sono molto sottostimati: già a marzo 2021 sarebbero state superate le mille vittime. Gli Zó’é finora sono stati risparmiati. Fin dalle prime campagne informative, organizzate dalle Chiese, dagli attivisti, Ong e dai medici, la piccola etnia ha deciso di autoisolarsi. Si sono divisi in 18 famiglie e ognuna s’è scelta un luogo della foresta distante dalle altre, in modo da evitare i contatti. 

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