Riforma pensioni, il focus sulla Quota 100: il Paese può permettersela?

Le ultime novità sulle pensioni flessibili si concentrano sull'avvio di una quota 100, formata dalla somma dell'età anagrafica e dei contributi versati. Resta però il dubbio sulla sostenibilità della misura e sui vincoli che potrebbero rendersi necessari.

Riforma pensioni, il focus sulla Quota 100: il Paese può permettersela?

La nuova flessibilità previdenziale dovrebbe essere formalizzata all’interno della bozza della legge di bilancio 2019 già nelle prossime settimane, quando al rientro delle vacanze i tecnici dell’esecutivo e del parlamento dovranno necessariamente cominciare a scoprire le proprie carte. Tra le diverse misure che sono state indicate all’interno del contratto di Governo, quella che potrebbe arrivare con maggiore tempestività sembra essere la nuova quota 100, in grado di garantire l’uscita anticipata dal lavoro tramite la somma di età anagrafica e anzianità di contribuzione.

È chiaro però a questo punto che non tutti i provvedimenti di flessibilità promessi potranno essere approvati contemporaneamente, mentre la chiusura del cerchio rispetto alle indicazioni elettorali dovrà necessariamente tenere conto di tutta la legislatura. Anche per questo l’esecutivo sembra orientato a procedere per passaggi, in modo da rendere compatibile il superamento della legge Fornero e la contestuale tenuta dei conti pubblici.

Pensioni anticipate e Quota 100: la misura è sostenibile per le casse pubbliche?

Il principale problema di fondo dell’operazione di flessibilizzazione dei sistema previdenziale resta infatti quello della tenuta dei conti pubblici, motivo per il quale al fruitore della quota 100 potrebbe essere chiesto di rinunciare a qualcosa in cambio del prepensionamento. D’altra parte, le stime arrivate dall’Inps nelle scorse settimane non lasciano spazi a fraintendimenti.

Avviare la quota 100 assieme alla quota 41 per tutte le età costerebbe 15 miliardi di euro il primo anno e 20 miliardi di euro una volta che il sistema andrà a regime. I costi scenderebbero ad 11 miliardi di euro l’anno con un vincolo a 64 anni (18 miliardi di euro a regime), mentre con 65 anni di età si scenderebbe a 10 miliardi il primo anno ed a 16 miliardi a regime. 

In Italia due pensionati ogni tre lavoratori

L’altro elemento su cui è necessario prestare attenzione è il meccanismo di funzionamento del nostro welfare previdenziale, posto che ci troviamo inseriti all’interno di un sistema a ripartizione. Significa che i contributi versati attualmente dai contribuenti servono a pagare le pensioni in essere, pertanto non esiste un vero e proprio accantonamento di risorse come nei sistemi a capitalizzazione.

Si tratta di un elemento che in tutta evidenza deve essere tenuto conto in un Paese come il nostro, dove si verifica un progressivo invecchiamento della popolazione. Attualmente si registrano infatti tre lavoratori ogni due pensionati, un rapporto che entro il 2045 potrebbe diventare di uno a uno. Numeri di cui si tiene già conto nelle ultime riforme e che concorrono a restringere il possibile campo d’intervento.

Ed è anche da dati come questi che si può comprendere perché trovare la quadra sulla flessibilità previdenziale appaia un compito così difficile nonostante le buone intenzioni dei governo che si susseguono anno dopo anno.

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