Andamento altalenante delle quotazioni del petrolio e recente aumento del prezzo al barile hanno dato vita alcuni cambiamenti anche se non sono quelli propriamente sperati dall’Opec. Il valore è andato a sfiorare i 70 dollari al barile, che è un valore simile a quello di novembre, mese in cui l’Opec decise di lasciare invariata la produzione di greggio
Ma procediamo con criterio: nel novembre scorso i Paesi dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) si sono riuniti per decidere se chiudere o meno i rubinetti petroliferi per far rialzare i prezzi, scesi in seguito al crollo della domanda causato dalla situazione economica globale, in particolar modo dell’Eurozona, e al progressivo aumento dell’autosufficienza petrolifera degli Stati Uniti che hanno aumentato la propria produzione di 340 mila barili al giorno rispetto a novembre.
E così, quelli che un tempo erano i primi importatori di greggio al mondo sono stati superati ultimamente dalla Cina. Ad aprile gli Stati Uniti hanno importato 7,2 milioni di barili al giorno, contro i 7,4 milioni importati da Pechino. Una quantità di greggio che ha stupito gli analisti che, considerate le ultime performance dell’economia asiatica (nel 2014 il Pil è cresciuto del 7%, il dato più basso degli ultimi anni), si aspettavano un rallentamento della domanda di greggio.
E’ anche vero però che i primi segnali di crollo da parte degli Stati Uniti hanno cominciato a manifestarsi. Sempre rispetto a novembre si è registrato un calo degli investimenti nel settore del 30% e del 60% nel numero delle trivelle attive negli States.
L’Italia da tutto ciò ha solo che da guadagnarci. Secondo Confindustria una permanenza dei prezzi ai livelli attuali,intorno ai 60 dollari al barile, si rifletterebbe in una crescita aggiuntiva del Prodotto interno lordo pari allo 0,5% nel corso del 2015 e dell’1,1% per il 2016.
Infatti, grazie al ribasso del prezzo del greggio il nostro Paese risparmia, senza contare il calo della bolletta del gas importato, 24 miliardi di euro all’anno.