Pensioni, nuovo allarme dalla Sapienza: giovani a rischio povertà in vecchiaia

Dall’università "La Sapienza" emerge un nuovo allarme in merito alle pensioni che verranno erogate in favore dei lavoratori inseriti nel sistema contributivo puro. Ecco perché i giovani rischiano di vivere una vecchiaia di povertà.

Pensioni, nuovo allarme dalla Sapienza: giovani a rischio povertà in vecchiaia

La situazione di evidente preoccupazione rispetto al comparto previdenziale non riguarda solo i lavoratori in età avanzata che non riescono ad accedere all’agognata pensione per via della rigidità delle regole di uscita dal lavoro. Anche i giovani vivono sulla propria pelle il rischio di trovarsi in forte difficoltà quando arriverà il momento di beneficiare dell’attesa quiescenza.

Non si tratta solo delle regole di maturazione del diritto al pensionamento, che tendono a peggiorare al passare degli anni. Per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995, c’è l’ulteriore aggravio del sistema contributivo puro, che prevede il calcolo dell’assegno basato esclusivamente su quanto effettivamente versato (senza la possibilità di un’integrazione al minimo prevista con il sistema precedente).

Il fenomeno è evidenziato all’interno del 13mo rapporto sullo stato sociale ad opera del Prof. Felice Roberto Pizzuti, economista dell’Università Sapienza. Secondo il dossier presentato in occasione di una visita del Presidente della Camera, Roberto Fico, presso l’istituto, l’esistenza del problema viene confermata dagli stessi dati forniti dall’Inps. In particolare, la penalizzazione del calcolo contributivo risulterebbe aggravata dal fatto che in molti sperimentano attività lavorative instabili o precarie.

Pensioni più povere con una vita lavorativa da precari

La beffa per le giovani generazioni deriverebbe proprio dal fatto che una vita di precariato è caratterizzata da versamenti esigui presso le casse dell’Inps, oltre che da buchi contributivi che conseguono ai periodi di inattività. Sul punto, una prima risposta potrebbe essere data dalla pensione di cittadinanza, pensata per integrare fino a 780 euro l’assegno mensile. Ma la soluzione non può essere certamente considerata come definitiva.

Secondo il Prof. Pizzuti, per riuscire ad incidere sulla questione, serve slegare quello che attualmente appare come un collegamento rigido tra contributi versati e prestazione erogate. L’idea quindi sarebbe quella di istituire una pensione di base, garantendo un importo minimo che tenga conto degli anni lavorativi coperti da versamenti, piuttosto che del semplice montante acquisito. Difficile invece che su questa problematica possa incidere il settore delle pensioni integrative, visto che i bassi salari previsti con il precariato non permettono al lavoratore di crearsi una posizione utile allo scopo nel pilastro privato.

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