Pensioni anticipate 2022: l’opzione donna dai 60 anni diventa un caso

Le ipotesi di riforma dell’opzione donna suggeriscono la proroga per un anno, ma i requisiti diventano più stringenti: le proteste delle lavoratrici sul vincolo a 60 o 61 anni di età.

Pensioni anticipate 2022: l’opzione donna dai 60 anni diventa un caso

La nuova riforma delle pensioni anticipate all’interno della prossima legge di bilancio sta diventando un caso. Non solo perché di fatto non conterranno un provvedimento di apertura generale alla flessibilità, come richiesto dai sindacati. Al centro della discussione c’è anche un inasprimento dei requisiti di accesso, con la quota 100 che rischia di slittare a 102 e con l’inasprimento del vincolo anagrafico per l’accesso all’opzione donna.

Dopo l’uscita della notizia, le voci di protesta sul web e nei social network si sono moltiplicate. Anche considerando che la pensione anticipata opzione donna prevede diverse penalizzazioni per chi decide di adottare questa formula di quiescenza. Dal ricalcolo interamente contributivo dell’assegno fino alle finestre mobili di attesa di 12 mesi (18 mesi se lavoratrici autonome) per la maturazione del primo assegno erogato dall’Inps.

Pensioni anticipate, nel 2022 opzione donna rischia di veder salire il requisito anagrafico a 60 o 61 anni

La bozza della legge di bilancio 2022 evidenzia la proroga della pensione anticipata tramite opzione donna con un inasprimento del tutto inatteso dalle lavoratrici, che si attendevano la proroga a parità di vincoli (se non la trasformazione in senso strutturale della misura). Se l’attuale ipotesi del governo fosse accolta per come è stata formulata, per poter accedere alla opzione donna a partire dal prossimo gennaio serviranno almeno 60 anni per le lavoratrici dipendenti e 61 anni per le autonome.

Restano invece confermati i 35 anni di versamenti, mentre il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno può arrivare ad applicare una trattenuta permanente fino al 20%-30% dell’importo maturato in via ordinaria. Per l’opzione donna non si applicano inoltre le tutele di adeguamento al trattamento minimo.

Di fatto, questa modalità di pensionamento è spesso scelta da lavoratrici che si ritrovano senza impiego in età avanzata e senza altre alternative di reddito, dopo aver terminato i sussidi di welfare. Anche per questo l’applicazione di un eventuale inasprimento dei requisiti viene visto dalle lavoratrici come una ulteriore e ingiusta penalizzazione. Sul punto ora si attende di verificare cosa succederà durante l’iter di approvazione della manovra, nella speranza che i criteri di accesso alla misura vengano confermati senza nuovi aggravi.

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