Un anno terribile il 2013, che conta il più alto dato di chiusure e fallimenti di aziende e imprese: sono oltre 111mila gli imprenditori che hanno subito fallimenti e procedure giudiziare a causa della crisi, un dato che supera quello di qualsiasi altro periodo e che è sato rivelato da un’indagine del Cerved.
Stando alle indagini, effettuate da questo gruppo specializzato in analisi delle imprese, il fenomeno è addirittura in continua crescita e riguarda tutte le regioni d’Italia, da nord a sud. Sono soprattutto i fallimenti che continuano ad aumentare, per la stretta del credito delle banche verso le aziende, che spesso si trovano con debiti e mutui da pagare ma non possono far fronte agli impegni presi perchè non hanno il denaro necessario.
Sono aumentati inoltre coloro che ricorrono al concordato, una sorta di accordo tra ente e debitore che consente a quest’ultimo di pagare a rate con un minore aggravio di interessi, dilazionati a lunga scadenza. Una delle azioni più frequenti tra le imprese è anche quella del concordato in bianco, una procedura che blocca l’intervento dei creditori ma che prevede un piano di risanamento in grado di liquidare i debiti. Circa 5000 aziende hanno fatto ricorso a questa procedura, ma nell’utimo trimestre del 2013 le richieste sono diminuite a casua di alcune correzioni della legge, che ha reso la normativa meno conveniente.
Le regioni più colpite dalla chiusura delle aziende sono state naturalmente quelle del sud, anche se l’Emilia Romagna e il Trentino Alto Adige hanno subito gravi perdite, con il fallimento di aziende storiche che hanno dovuto abbandonare ogni prospettiva di ripresa. Il continuo calo delle commesse e le riduzioni del fatturato in fase di ordini, anche in campo nazionale, ha portato al collasso non solo gli industriali ma anche le piccole imprese familiari che, con il calo dei consumi, hanno dovuto rinunciare alle attività.
I dati del 2013 non fanno presagire nulla di buono per l’anno in corso, e parlare di una ripresa sembra davvero difficile, anche se qualcuno la ricetta giusta sembra conoscerla: una minore tassazione potrebbe portare un rialzo dei consumi, che inevitabilmente creerebbe un giro maggiore di ordini e fatturato e porterebbe utili alle aziende che producono. Una catena che non dovrebbe fermarsi mai per garantire lavoro e produttività.