Il mercato cinese in Italia: un bar su quattro è cinese ma non è chiaro come si finanziano

Un inchiesta giornalistica, anche grazie a testimonianze dei diretti interessati, svela la provenienza dei fondi cinesi utilizzati per monopolizzare il mercato delle attività di vicinato.

Il mercato cinese in Italia: un bar su quattro è cinese ma non è chiaro come si finanziano

Da il fenomeno legato all’invasione commerciale cinese all’interno delle nostre città, più o meno grandi che siano, è un dato di fatto. Chiunque può notare come ai tradizionali commercianti titolari da anni di piccoli negozi spesso tramandati di padre in figlio, come cartolerie o ortofrutta, siano stati acquistati da cittadini cinesi. Piccoli imprenditori in poco tempo hanno completamente rilevato, con buon riscontro di clientela, quelli che prima dell’avvento dei centri commerciali erano il principale, se non l’unico, punto di riferimento dove poter acquistare i generi di prima necessità e non solo.

I numeri parlano chiaro, la rilevanza del fenomeno è di imponente dimensione: ad esempio nel 2014, gli investimenti cinesi in attività all’estero hanno raggiunto i 103 miliardi di dollari, soldi spesso spesi per rilevare quelle che vengono definite le “attività di vicinato”. Un indicatore molto significativo riguarda i bar, infatti, oggi a Milano uno su quattro è gestito da cinesi. Buona parte di questa montagna di denaro, sarebbe stata stata erogata utilizzando come metodo di pagamento il contante.

A fare un po’ luce sull’origine di questa ricchezza è l’indagine condotta dal programma televisivo “La Gabbia” della rete televisiva La7, che ha raccolto due diverse tipologie di testimonianza. La prima, diretta, di un imprenditorie cinese che è voluto rimanere anonimo, il quale ha affermato:“per (acquistare, ndr) delle attività chiediamo raramente prestito alla banca, tutti chiediamo prestiti agli amici” e continua incalzato sull’origine dei soldi dichiara“non pagano il 100% delle tasse, aprendo e chiudendo laboratori per evitare i controlli”.

La seconda, invece, è dell’autore del libro “Chinatown”, Fabrizio Cassinelli, il quale non può fare a meno di segnalare la presenza della criminalità organizzata dietro a questi investimenti: questa prova a riciclare il proprio denaro e le proprie merci prestando a giovani immigrati i fondi per ritirare ed avviare delle attività; diventandone di fatto la proprietaria.

Interrogata la comunità cinese “fa’ muro”, non rispondendo alle domande dei cronisti sull’origine dei fondi, fingendo a volte banali scuse sulla lingua o rifiutandosi di far entrare le telecamere all’interno dei negozi.

Continua a leggere su Fidelity News