5 riflessioni ai tempi del coronavirus

L’epidemia causata dal Coronavirus, dichiarata pandemia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità l’11 marzo, sta mettendo sottosopra non solo l’Italia, ma il mondo intero.

5 riflessioni ai tempi del coronavirus

L’epidemia causata dal Coronavirus, dichiarata pandemia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità l’11 marzo, sta mettendo sottosopra non solo l’Italia, ma il mondo intero.
È arrivata di soppiatto: eravamo tutti intenti a vivere la nostra quotidianità, a lavorare, a fare del nostro meglio, giorno dopo giorno. Avevamo sentito qualche notizia dalla Cina, ma era un paese lontano. Avevamo così confinato i problemi all’Estremo Oriente.

Poi, lentamente, con centri concentrici, il sasso gettato nello stagno della nostra tranquillità ha cominciato ad agitare le acque, sempre di più. Il sasso è diventato un macigno, e le piccole increspature d’acqua sono diventate uno tsunami. Nulla sarà più come prima, almeno per molto tempo.
Ora siamo al redde rationem: sembra l’Apocalisse. Termine che letteralmente significa gettar via ciò che copre, togliere un velo. È stato tolto il velo. E ci sentiamo nudi, indifesi di fronte al possibile baratro. Il virus, sta provocando un capovolgimento dei punti fermi cui ci eravamo, inconsciamente, abituati: sociali, sanitari, politici, economici, giuridici. Vediamo alcuni aspetti.

1) Anzitutto, leggendo il Decreto Cura Italia emanato dal Governo il 17 marzo, ci rendiamo conto che siamo precipitati in un’economia di “guerra”. Siamo, quindi, in guerra; certo, è diversa rispetto a quella cui ci eravamo abituati nel corso degli anni: non è fatta con le armi e contro un nemico visibile, ma è condotta dal punto di vista sanitario contro un nemico invisibile e, quindi, più subdolo.
È sotto gli occhi di tutti il bollettino di guerra quotidiano e ci rendiamo conto sempre più che siamo arrivati a questa guerra impreparati. Nonostante già lo scorso 31 gennaio il Governo avesse dichiarato lo “stato di emergenza”, ci siamo trovati con pochissimi respiratori, mascherine chirurgiche, posti letto in ospedale, pochi medici in corsia. Improvvisamente, nell’arco di pochi giorni, si sono visti gli effetti del processo di smantellamento della sanità pubblica in essere oramai da parecchi anni.
Di fronte a questa guerra sanitaria, ci rendiamo conto dell’importanza di una sanità pubblica forte e sana. Avere un’assistenza gratuita e di livello in questi momenti drammatici ci da speranza e fa vedere la luce in fondo al tunnel. Ricordiamocelo quando questa emergenza sarà superata, anche guardando a quello che accade in altri Paesi in cui la sanità è privata.

Per altro verso, i medici sono, finalmente, considerati per quello che sono: i veri eroi moderni, per il loro continuo sforzo quotidiano e per i rischi cui si espongono ogni giorno.
“Eroe”, dal greco ἥρως (hérōs), nell’antichità era chi sapeva ascoltarsi, scegliere sé stesso nel mondo e accettare la prova chiesta a ogni essere umano: quella di non tradirsi mai. Eroi non si nasceva, si diventava, dimostrando il proprio valore. Eroe era chi ci aveva anche solo provato, cercando di superare sé stesso, a prescindere dal risultato: di Ettore e Achille ricordiamo il coraggio, la sfida di misurarsi in qualcosa di grande, non la loro sconfitta. Ecco, i nuovi eroi moderni sono i nostri medici, che ogni giorno vanno in ospedale, si sottopongono a turni massacranti per garantire il nostro bene primario, la salute. Grazie ai medici e agli scienziati vinceremo, prima o poi, questa guerra. Ma non dimentichiamoci la lezione.
A proposito: che fine hanno fatto i “no vax”? Se ci fosse un vaccino contro il Covid-19, e prima o poi ci sarà, si rifiuteranno di vaccinarsi?

2) Anche dal punto di vista economico la crisi ha colto l’Italia impreparata e molto esposta: bastava un raffreddore per metterci in ginocchio, è arrivata l’influenza.
Siamo arrivati a questa gigantesca crisi portandoci il fardello dei problemi, noti da tempo, che affliggono le nostre impese: la tassazione asfissiante, la lentezza burocratica, l’instabilità politica, la carenza di infrastrutture, gli spechi, la corruzione, la criminalità, la giustizia troppo lenta (la più lenta d’Europa). E con un elevatissimo stock di debito pubblico, più di 2.300 miliardi di euro nel 2017, che da sempre costituisce per l’economia italiana un fattore di rischio, aggravato da una crescita economica bassa (o assente). Nel 2018 l’Italia ha pagato quasi 65 miliardi di euro di interessi, sostanzialmente in linea con il 2017: tra i Paesi del G-7, in rapporto alla popolazione, l’Italia è il Paese europeo che paga di più.

Se uno Stato paga troppi interessi per sostenere il debito è costretto a sottrarre ricchezza ai propri cittadini, agendo su altre leve, come l’aumento delle tasse o la riduzione della spesa pubblica. E l’aver scialacquato i nostri soldi per quote 100, redditi di cittadinanza e altre prebende (per esempio Alitalia, a favore della quale l’art. 79 comma settimo del Decreto Cura Italia costituisce un nuovo fondo di 500 milioni per pagare i debiti pregressi) ci ha resi fragilissimi nel poter utilizzare ora gli strumenti di finanza pubblica necessari.

Non c’è da quindi stupirsi che questa pandemia fosse il perfetto detonatore per dar fuoco alle polveri. Per scatenare l’inferno economico nel nostro Paese (e non solo). Ora l’Europa mette in campo il proprio “bazooka”: la BCE ha lanciato un quantitative easing da 750 miliardi e il Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ha annunciato la sospensione del Patto di stabilità. Ma siamo proprio sicuri che in Italia, visto la debolezza sistemica, una volta terminata la fase emergenziale riusciremo ad evitare – per coprire il sicuro aumento di debito pubblico – tagli agli stipendi pubblici, pensioni e patrimoniale?

3) Siamo di fronte ad una crisi, ce ne rendiamo conto tutti, catastrofica, proprio perché improvvisa e virulenta. La catastrofe (dal greco κατασροϕή, “capovolgimento”) per definizione prevede un ribaltamento della situazione: anche la catastrofe, tuttavia, in quanto capovolgimento, porta anche un cambiamento, che non per forza è negativo, perché ci porta a dover cambiare rotta per ritrovare il nostro cammino.

Da un recente studio di Cerved, ipotizzando due scenari – uno “base” e un altro “pessimistico”, si ricavano alcuni numeri di tale catastrofe. Scenario base: persi 220 miliardi nel 2020 e 55 miliardi nel 2021 (a fronte di una situazione ante Covid-19); scenario pessimistico: persi 470 miliardi nel 2020 e 172 nel 2021.
Questa crisi, come tutte le crisi, lascerà sul campo molti vinti, ma anche molti vincitori. Le vittime?

Gli alberghi e in generale le strutture ricettive, le agenzie di viaggi e i tour operator, l’automotive e le concessionarie, i bar e i ristoranti, i trasporti aerei e le gestioni degli aeroporti e delle autostrade. I vincitori? Il commercio on-line: tutti stiamo acquistando da casa pacchi su pacchi di prodotti. E ci stiamo abituando; facile pensare che dopo questa crisi continueremo ad acquistare, comodamente da casa, i prodotti che ci servono. E ancora: la distribuzione di alimentari, il settore farmaceutico, le lavanderie industriali, la produzione di ortofrutta. Probabilmente dopo questa crisi i prodotti a Km 0 saranno sempre più gettonati.

4) Ma c’è anche un altro aspetto che voglio sottolineare: l’importanza della manifattura. Non viviamo di solo turismo e servizi, ma abbiamo anche un vitale sistema industriale. Che va aiutato e protetto, soprattutto in questo momento.
Ogni crisi non è un vicolo cieco ma un percorso alternativo per cogliere nuove opportunità. Nella lingua cinese la parola wēijī (crisi) è composta da due ideogrammi con due significati interessanti: wei (“pericolo”) e ji (“opportunità”, ma anche momento incipiente, punto cruciale ingegnoso). Nella prova che dobbiamo superare in qualche modo è insito un premio, una nuova opportunità, che solo chi è in grado di capirlo potrà fare suo.
Ecco: questa crisi può rappresentare l’opportunità per ripensare al nostro sistema industriale. Alla sua rinascita. Ci stiamo rendendo conto dell’importanza di tornare ad una produzione autarchica in alcuni settori essenziali. Senza dipendere dall’estero. Oggi la globalizzazione di fronte al Coronavirus si è fermata: chiuse le frontiere, di globale è rimasto solo il virus.
Se avessimo prodotto le mascherine chirurghiche (i maggiori produttori mondiali sono la Cina e – incredibilmente – la Giordania) probabilmente avremmo evitato alcuni problemi avuti nell’importazione (prodotti bloccati nelle dogane dei paesi stranieri, truffe etc.).
Non possiamo abdicare al nostro sistema industriale; anzi, al contrario dobbiamo favorire il reshoring delle nostre industrie. Con incentivi, fiscali e giuslavoristici. Dobbiamo ri-cominciare a produrre quanto è essenziale per la nostra economia, forti del “made in Italy”: un marchio che vale molto, moltissimo e attribuisce un plusvalore riconosciuto nel mondo. Dobbiamo ricostruire il nostro sistema produttivo e in questo lo Stato deve farsi promotore di una politica industriale che manca oramai da decenni nel nostro paese. Proviamoci, è il momento giusto.

5) Questa crisi ci dimostra anche che senza uno Stato forte dirigista, nei momenti di crisi sistemica quale quello in cui stiamo vivendo, non ce la faremo. Come nella crisi del ’29, oggi più che mai abbiamo bisogno dello Stato: del suo intervento, con le misure a sostegno dell’economia, e della sua protezione, con gli ospedali pubblici. Keynes vince su Von Hayek e sui Chicago Boys. Ci rendiamo conto dell’importanza di un ente superiore che coordini e induca le scelte dei cittadini.

In Cina sono usciti dalla crisi pandemica con un controllo rigido e sistematico: droni che sorvolavano le città, controllo dei cellulari, intelligenza artificiale e riconoscimenti facciali che individuavano i cittadini “disobbedienti”. Ma nell’estremo oriente vige un controllo sociale ed una disciplina ferrea, che hanno consentito di frenare velocemente il propagarsi della malattia; e, ricordiamocelo, non c’è la democrazia ma un sistema totalitari. Da noi la situazione è diversa: la libertà dei cittadini è un principio fondamentale, garantito dalla Costituzione e che va in ogni caso tutelato. Inoltre, da un punto di vista sociologico l’individualismo tipico degli italiani difficilmente si concilia con rigide misure di controllo sociale.

Qui sta il punctum pruriens del problema: le democrazie occidentali, nel tentare di contenere il virus, sono messe a dura prova. Democrazia equivale a libertà. E le libertà dei cittadini si stanno comprimendo: si sono succeduti una serie di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (8 marzo, 9 marzo, 11 marzo, 17 marzo) con i quali il Governo ha via via adottato misure sempre più drastiche, quali da un lato la limitazione degli spostamenti delle persone fisiche e, dall’altro, la sospensione (rectius: chiusura) delle attività commerciali al dettaglio, con alcune eccezioni: non possiamo uscire di casa, se non per comprovate esigenze.

A fronte dei decreti del governo, le Regioni legiferano in ordine sparso e alcune riducono motu proprio le (poche) libertà concesse dal Governo. Da ultimo si veda l’ordinanza del Presidente della Regione Veneto del 20 marzo che – tra l’altro – chiude i parchi, limita gli spostamenti, anche in bicicletta, e l’attività motoria; cui è seguita – in pari data – l’ordinanza del Ministero della Salute con precetti simili. Le libertà personali, in nome del bene generale della salute pubblica, sono ancor più compresse. Non siamo in prigione, ma poco ci manca.
Da un lato problemi di conflitti costituzionali sono alle porte. Servirebbe una voce unica, altrimenti l’unico risultato certo sarà la confusione nei cittadini e la sfiducia nelle istituzioni. Sfiducia che può portare ad un esito poco confortante per la democrazia.
Dall’altro la crisi diventa anche prova di maturità per la nostra generazione. Sono nato nel 1975, non ho conosciuto la guerra con le armi e i fucili, né il terrorismo (ero troppo piccolo). Ma ho vissuto la crisi di Mani Pulite, quella del 2001 e quella, più incisiva, del 2008. E dopo ogni crisi le libertà personali e la nostra “privacy” sono state sempre di più limitate.

Dobbiamo dimostrare di essere “maturi”, consapevoli e preparati di fronte a questa prova drammatica. Ma cosa succederà una volta finita questa crisi? Torneremo pienamente alla libertà cui eravamo abituati?
Un’ultima riflessione. Questa crisi finirà, come tutte le crisi che si sono succedute nel corso della storia: la crisi del ‘300, dei tulipani nel ‘600, la grande depressione del 1873-1895, la crisi del 1929, del 1973, del 1987, del 2001 del 2008. Ma è proprio nei momenti di crisi che la storia ha fatto dei balzi in avanti incredibili, spingendo l’uomo a studiare, creare, inventare, scoprire, migliorare.

Ricordiamoci che dopo la crisi del ‘300 vi fu il grande sviluppo artistico dell’Umanesimo e del Rinascimento. Fiorirono le arti e iniziò uno dei periodi più elevati della storia dell’umanità.
Un giorno questo incubo finirà E quando ciò accadrà, ci abbracceremo e usciremo a rivedere le stelle.

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