Vive e lavora in Italia da 33 anni, ma le viene negata la cittadinanza: "guadagna troppo poco"

Una donna invalida originaria del Marocco che vive in Italia da 33 anni, mantiene due figli universitari ed ha un lavoro a tempo indeterminato, ma part time a causa della sua invalidità, si è vista negare la cittadinanza italiana perché "guadagna troppo poco".

Vive e lavora in Italia da 33 anni, ma le viene negata la cittadinanza: "guadagna troppo poco"

Il caso del rifiuto della cittadinanza italiana ad una donna di Trento è finito al Tar, dopo che la sua richiesta è stata rifiutata perché “Guadagna troppo poco”. Protagonista dell’incredibile vicenda una donna originaria del Marocco che vive e lavora nel nostro paese da 33 anni, gli ultimi 10 trascorsi a Trento.

La donna ha un contratto a tempo indeterminato per un lavoro part-time con una cooperativa, ha una vita perfettamente integrata nel nostro Paese. A causa della sua invalidità, non sostenere un lavoro full time. I suoi due figli, nati e cresciuti in Italia e con la cittadinanza italiana, sono studenti universitari, e la donna non ha mai commesso alcun crimine che macchi la sua fedina penale.

Secondo la legge italiana, la cittadinanza può essere richiesta se uno straniero ha risieduto legalmente nel nostro territorio per almeno 10 anni, quindi la donna sperava di poter ottenere finalmente il diritto di essere cittadina italiana dopo tre decadi trascorse nel paese. Un diritto che le è stato negato perché non arriva alla soglia minima di reddito imponile.

La cooperativa dove lavora si occupa del servizio di lavanderia in una Rsa, e la donna non ha mai smesso di lavorare neanche nei mesi del lockdown. Dato che il suo contratto è part-time, il suo stipendio è modesto ed è integrato dal reddito di cittadinanza e da un contributo dall’Agenzia provinciale per l’assistenza per consentirle di mandare avanti la famiglia.

Solo lo stipendio viene però preso in considerazione per la richiesta di cittadinanza, quindi nonostante i 33 anni di vita e lavoro legali in Italia, la sua richiesta è stata rigettata. La donna, tramite il suo legale, ha adesso 30 giorni per fare ricorso al Tar del Lazio ed impugnare la decisione presa, dopo che il Tar di Trento ha dichiarato la propria incompetenza territoriale nella vicenda.

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