La tragedia della diga del Vajont
La diga del Vajont, uno degli incidenti naturali più grandi di Italia, si verificò la sera del 9 ottobre 1963. Situato nelle Alpi italiane settentrionali, il lago artificiale creato dalla diga del Vajont era una meraviglia dell’ingegneria fino a quando la catastrofe colpì. Questo articolo approfondisce gli eventi che hanno preceduto l’evento, le sue conseguenze e il dibattito in corso sulle sue cause.
L’evento catastrofico
In quella fatidica notte, una massiccia frana si staccò dal vicino Monte Toc, precipitando nel bacino sottostante. Il crollo ha innescato un’onda colossale che ha superato la diga, inondando la valle sottostante. Le città di Longarone ed Erto e Casso sono state praticamente cancellate dalla mappa. Più di 1.900 persone hanno perso la vita in quello che è considerato uno dei peggiori episodi legati alle dighe della storia.
Le cause e la controversia
Mentre la causa immediata dell’accaduto fu la frana, i fattori sottostanti sono stati oggetto di intenso esame e dibattito per decenni. Esperti e investigatori hanno indicato una combinazione di instabilità geologica, il rapido riempimento del bacino e potenziali difetti di progettazione nella diga stessa.L’accaduto ha sollevato gravi interrogativi sulla sicurezza dei grandi progetti idroelettrici e sul ruolo dell’errore umano in tali incidenti. Il governo italiano e le aziende coinvolte hanno affrontato critiche diffuse per la loro gestione della situazione e le successive indagini.
Le conseguenze e l’eredità
La catastrofe del Vajont ha lasciato una profonda cicatrice nella regione e ha avuto profonde conseguenze sulla società italiana. L’evento ha portato a significative modifiche alle normative sulla sicurezza delle dighe e alle pratiche ingegneristiche in tutto il mondo. Tuttavia, la storia completa del crollo del Vajont continua ad affascinare e colpire coloro che la studiano.
La storia di Mario Pancini e le sue conseguenze
Va segnalata la figura dell’ingegnere Mario Pancini, che, consapevole delle criticità del Monte Toc, si adoperò per consolidare la diga, evitando forse una catastrofe ancora più grave. Tuttavia, il giorno prima dell’inizio del processo, il 24 novembre 1968, si tolse la vita nella città svizzera in cui si era rifugiato.I superstiti dovettero affrontare anche l’umiliazione dei codicilli, come quello sulla “commorienza” – i casi di decessi contemporanea di genitori e figli – escogitato da Giovanni Leone, all’epoca presidente del Consiglio e successivamente avvocato della Sade-Enel nel processo. Questo espediente permise di negare i risarcimenti ai parenti di circa 600 decessi, in un evento già di per sé inumana.
Un’eco amara
Come riporta Ettore Mo, inviato del Corriere della Sera, sulla tomba di famiglia di un certo Luigino, coinvolto nella catastrofe, è incisa una frase che riassume l’orrore e l’indignazione: “barbaramente e vilmente trucidati per leggerezza e cupidigia umana”. E, sottolineando la premeditazione della catastrofe, si legge: “ECCIDIO PREMEDITATO”.