Una nuova sentenza della Terza sezione civile della Suprema Corte, depositata oggi, ha confermato che il “depistaggio” delle indagini sul disastro aereo di Ustica deve considerarsi “definitivamente accertato” e, per questo, serve un nuovo processo civile per valutare la responsabilità dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti nel fallimento della compagnia aerea Itavia, proprietaria del DC9 precipitato il 27 giugno 1980 al largo dell’isola di Ustica.
Quindi, dopo che la richiesta di risarcimento danni era stata bocciata dalla Corte d’Appello di Roma il 4 ottobre 2010, la Suprema Corte ha accolto il ricorso avanzato da Luisa e Tiziana Davanzali, figlie di Aldo Davanzali, patron della compagnia aerea Itavia fallita sei mesi dopo il disastro e considerato responsabile della morte degli 81 passeggeri senza mai essere processato.
La sentenza conferma nuovamente la tesi “del missile sparato da aereo ignoto” quale causa dell’abbattimento del DC9 e stabilisce che e è necessario valutare l’effetto dei depistaggi nel crac dell’Itavia, poiché essi gettarono “discredito commerciale” sulla compagnia , che venne anche colpita da “provvedimenti cautelari” sollecitati “dalla diffusione della falsa notizia del cedimento strutturale” del DC9.
Sarà dunque un nuovo processo civile, che vedrà come imputati i Ministeri della Difesa e dei Trasporti, davanti a un’altra sezione della Corte d’Appello di Roma, a stabilire se il dissesto della compagnia aerea sia stato “preesistente” al disastro oppure se, e in quale misura, sia dipeso dalla “riconosciuta attività di depistaggio” delle indagini.
Soddisfatto l’avvocato Mario Scaloni, difensore della famiglia Davanzali: “Siamo solo all’inizio. Adesso la verità dovrà venire fuori, si scoprirà chi ha compiuto la strage e chi l’ha coperta. Noi non abbiamo mai avuto dubbi: il DC9 di Ustica è stato abbattuto da un missile”.