PESCARA. Una nuova disgrazia si è consumata nella casa circondariale di San Donato, dove un detenuto di origine egiziana, appena 24enne, si è tolto la vita nella sua cella. Un evento bruttissimo che ha scatenato la reazione violenta di alcuni compagni di prigionia: le tensioni sono scaricate in una vera e propria rivoluzione, con incendi appiccati all’interno della casa circondariale. Le fiamme hanno reso l’aria irrespirabile, rendendo necessario l’intervento dei vigili del fuoco, accorsi sul posto per domare il rogo e mettere in sicurezza la struttura.Nel caos generato dalla protesta, un detenuto è riuscito a salire sul tetto della prigione, camminando lungo il muro di cinta in un gesto di estrema tensione, mentre gli agenti cercavano di riportare la situazione sotto controllo.
Il principio d’incendio ha avuto conseguenze gravi: secondo le prime informazioni, almeno una dozzina di persone sarebbero rimaste intossicate dai fumi sprigionati dalle fiamme, tra cui diversi agenti di polizia penitenziaria e alcuni detenuti. Due reclusi, in condizioni più serie, sono stati trasferiti d’urgenza in pronto soccorso, mentre i sanitari del 118, intervenuti rapidamente, hanno fornito bombole di ossigeno ai presenti per contrastare gli effetti dell’inalazione del fumo.L’allarme è scattato intorno alle 10 del mattino, proprio mentre i familiari dei detenuti si stavano recando presso la struttura per i colloqui settimanali. La protesta ha avuto il suo epicentro nella sezione penale, dove sono divampate le fiamme. Attualmente la situazione sembra sotto controllo: l’incendio è stato domato, anche se il fumo continua a fuoriuscire da una delle sezioni della struttura. Sul posto, oltre ai vigili del fuoco, sono intervenute squadre della polizia di Stato e della polizia penitenziaria per gestire l’emergenza e prevenire ulteriori tensioni.
Un’emergenza che si ripete: tredicesimo a togliersi la vita nella casa cicondariale dall’inizio dell’anno
L’episodio di oggi rappresenta un nuovo tassello nel bruttissimo fenomeno dei gesti estremi nelle case circondariali italiane: quello del giovane egiziano è infatti il tredicesimo caso registrato dall’inizio del 2025. Un dato allarmante, evidenziato da Aldo Di Giacomo, segretario del Sindacato di Polizia Penitenziaria (Spp), che denuncia una situazione sempre più insostenibile dietro le sbarre.“È un vero stillicidio”, ha dichiarato Di Giacomo. “Si tratta quasi sempre di persone con condanne non definitive, e ciò che preoccupa maggiormente è che l’età media di chi si toglie la vita nella casa circondariale si sta abbassando sempre di più”.
Il sindacalista sottolinea inoltre come ben 19mila detenuti potrebbero uscire se venissero adeguatamente informati sulle alternative alla detenzione tradizionale, come le misure di sorveglianza speciale o i percorsi di reinserimento sociale. “Purtroppo, però, c’è un disinteresse assoluto da parte dell’amministrazione penitenziaria, che non interviene su una problematica così grave”.Secondo Di Giacomo, le casa circondariali italiane ospitano due realtà profondamente diverse e spesso incompatibili: da un lato della malavita organizzata, con i detenuti più pericolosi al mondo, dall’altro una fetta di popolazione della casa circondariale costituita da persone con reati minori, spesso affette da dipendenze o problemi psichiatrici, che si ritrovano in un sistema incapace di offrire alternative valide.
La casa circondariale non rieduca più, è diventato un punto di rilancio per la malavita
La denuncia del sindacato penitenziario si spinge oltre, evidenziando un paradosso del sistema carcerario italiano. “Se non si interviene con un serio percorso di rieducazione, questi soggetti continueranno a entrare e uscire dalla casa circondariale in un circolo vizioso”, ha spiegato Di Giacomo. “In molti casi, chi arriva a togliersi la vita era già fragile prima di essere recluso. Il sovraffollamento incide sulla qualità della vita, ma il problema principale è che manca un serio programma di recupero”.Il sindacalista ha infine lanciato un monito preoccupante: “la casa circondariale, così com’è strutturato oggi, non è più un luogo di rieducazione, ma piuttosto un trampolino di rilancio per la carriera malavitosa”.
A dimostrarlo, secondo i dati in possesso del Spp, è la progressiva riduzione del numero di collaboratori di giustizia all’interno delle case circondariali: “In regioni come Calabria, Sicilia, Campania e Puglia, si registra un calo del 4,8% nella collaborazione con la magistratura da parte dei detenuti”, un segnale che indica un rafforzamento del potere delle organizzazioni malavitose tra le mura delle case circondariali italiane.Nel frattempo, mentre le indagini sulla rivoluzione di San Donato proseguono, il magistrato di sorveglianza e il provveditore stanno ascoltando la direttrice dell’istituto, Armanda Rossi, per ricostruire nel dettaglio la dinamica degli eventi. Ma resta il grande interrogativo: quanti altri suicidi serviranno prima che il sistema penitenziario venga realmente riformato?