Totò Riina, l’ultimo tra i capi di Cosa Nostra: ecco perché lo chiamavano "la belva"

Il boss mafioso Totò Riina, morto nella mattinata del 17 novembre, era coinvolto in centinaia omicidi di mafia, tra cui quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Totò Riina, l’ultimo tra i capi di Cosa Nostra: ecco perché lo chiamavano "la belva"

Il boss dei boss Totò Riina, capo del clan mafioso dei Corleonesi, è morto nelle prime ore di venerdì 17 novembre presso il reparto detenuti dell’ospedale di Parma, dove era ricoverato – sempre in regime di 41bis – da mesi a causa del suo precario stato di salute, che necessitava ormai di costanti cure mediche. 

Proprio ieri aveva compiuto il suo ottantasettesimo compleanno e, con la sua morte, si chiude un cerchio, un’epoca di stragi e di omicidi eccellenti che scossero non solo Palermo e la Sicilia, ma l’Italia intera. Nonostante si sia accertato il suo coinvolgimento in centinaia di efferati delitti – tra cui anche quello del piccolo Di Matteo sciolto nell’acido – Riina è stato condannato all’all’ergastolo solo per 26 omicidi, motivo per cui dal 1993 – dopo 24 anni di dorata latitanza – stava scontando la sua pena. 

A Riina si devono le stragi del 1992 di Capaci (in cui morirono il giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, oltre agli agenti di scorta) e quella avvenuta qualche mese dopo di via D’Amelio a Palermo (dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della scorta). Un periodo di stragi che il boss voleva riavviare- stando alle intercettazioni registrate durante le ore d’aria – dichiarando la sua volontà di uccidere uno dei giudici antimafia più esposti ed in prima linea in questi anni, cioè Antonino Di Matteo. 

Totò “la Belva” o “u’ curtu”, insieme al boss Bernardo Provenzano, formavano una delle più feroci coppie di Cosa Nostra, protagonisti indiscussi del periodo stragista. Figlio di una famiglia di contadini, Riina non aveva avuto alcuna possibilità di studio ma, a fronte della sua ignoranza, aveva una mente sottile e molto sadica. 

Dopo essersi legato al boss Liggio, Riina trovò nuove alleanze con Vito Ciancimino, noto imprenditore siciliano che divenne anche sindaco di Palermo, nel momento in cui il clan dei Corleonesi mise le mani sui delicati affari dell’amministrazione e della politica cittadina.

Dopo aver ricevuto dei mandati di arresto per alcuni omicidi commessi, dal 1969 inizia la sua lunga latitanza, durante la quale non solo sposò Ninetta Bagarella – appartenente ad un altro clan mafioso siciliano – ma ebbe anche quattro figli, tutti regolarmente iscritti all’anagrafe come suoi figli. 

Una latitanza dorata e alla luce del sole la sua, durante la quale non solo furono sterminati i suoi più temuti avversari mafiosi – decretandone così il predominio assoluto su Cosa Nostra – ma avvennero dei delitti eccellenti tra cui quello di Michele Reina, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella (fratello dell’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella), l’esponente del PC siciliano Pio La Torre, nonché l’onorevole democristiano Salvo Lima. 

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