Terremoto L’Aquila: la responsabilità dei decessi attribuita a sette giovani

I familiari delle giovani vittime del sisma dell'Aquila non solo non riceveranno alcun risarcimento per la perdita dei loro cari, ma sono stati ritenuti responsabili di una "condotta incauta" che ha contribuito alla disgrazia

Terremoto L’Aquila: la responsabilità dei decessi attribuita a sette giovani

I familiari delle giovani vittime non solo non riceveranno alcun risarcimento per la perdita dei loro cari, essendo stati accusati di aver assunto una “condotta incauta“, ma dovranno anche pagare le spese legali, che ammontano a quasi 14 mila euro. Secondo i giudici, le cause dei decessi sono da ricercare nelle decisioni prese dai ragazzi stessi, assolvendo da ogni colpa, come già stabilito in primo grado, la Commissione Grandi Rischi. Quest’ultima si era riunita all’Aquila il 31 marzo 2009, cinque giorni prima del disperato evento, e aveva lanciato messaggi rassicuranti alla popolazione.

Inizialmente, il Tribunale dell’Aquila aveva condannato a sei anni i sette scienziati che avevano partecipato alla riunione, ma in appello erano stati assolti tutti, tranne Bernardo De Bernardinis, l’allora vicecapo della Protezione civile, la cui condanna a due anni è stata confermata anche in Cassazione.

De Bernardinis, che aveva presieduto la riunione in assenza dell’allora capo della Protezione civile nazionale, Guido Bertolaso, aveva inviato messaggi rassicuranti subito dopo la riunione, inducendo molti aquilani a non prendere le tradizionali misure di sicurezza, come uscire di casa dopo una scossa. È probabile che ci sarà un ricorso in Cassazione contro il pronunciamento della Corte d’Appello dell’Aquila. Secondo i giudici di secondo grado non esistono prove certe che le rassicurazioni abbiano influenzato la condotta dei giovani, mancando così il cosiddetto “nesso causale” per attribuire responsabilità di natura civile. Significativo in tal senso è quanto scritto dai magistrati a proposito di Nicola Bianchi (il cui padre Sergio si batte da anni per ottenere giustizia).

Ad analoga conclusione – si legge nella sentenza – deve pervenirsi quanto a Nicola Bianchi, in quanto, al di là del fatto che non v’è prova della fonte della conoscenza della riunione del 31 marzo e della motivazione della rassicurazione tratta – sicché non v’è alcun elemento che la colleghi proprio alle dichiarazioni del De Bernardinis gli stessi appellanti non contestano che stando alle sommarie informazioni testimoniali dei genitori, il ragazzo decise di restare all’Aquila poiché aveva un esame il giorno 8 aprile e la notte del sisma dopo la scossa delle ore 22.48, uscì in strada circostanza che contrasta con la tesi che egli avesse così agito sentendosi tranquillizzato sulla base delle dichiarazioni del De Bernardinis e non ritenendo più pericolose le scosse.

Pertanto, i giudici hanno concluso che i ragazzi non sarebbero stati condizionati né rassicurati dai comportamenti dei componenti della Commissione Grandi Rischi presenti all’Aquila cinque giorni prima del sisma, né dalle dichiarazioni in televisione di De Bernardinis e dell’allora sindaco, Massimo Cialente.

Infine, i giudici hanno affermato: “in linea generale, il compendio probatorio acquisito (convocazione della riunione, verbali della stessa, deposizioni testimoniali), al di là del convincimento del capo del Dipartimento di Protezione civile emerso nel corso della conversazione casualmente intercettata tra lo stesso (Bertolaso) e l’assessore regionale (Stati) ha smentito o, comunque, non ha dato conferma della tesi che gli esperti partecipanti alla riunione del 31 marzo ad esclusione del De Bernardinis, vice di Bertolaso il quale peraltro alla stessa non diede alcun contributo scientifico  avessero a priori l’obiettivo di tranquillizzare la popolazione e quindi, di contraddire o minimizzare quanto desumibile dai dati oggetto della loro valutazione scientifica. Tesi che le parti appellanti ripropongono in termini meramente assertivi senza misurarsi con le risultanze istruttorie”.

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