La notizia è di quelle che fanno restare a bocca aperta, cosi contraddittoria da dividere in due i pensieri di chiunque, cosi da restare su un filo di lana che divide illusione e ottimismo.
Piercarlo Morello, 33 anni, ora è dottore ha conseguito la laurea in Scienze umane e pedagogiche all’Università di Padova, con il voto di 96/110. Nulla di strano se non il fatto che il neo dottore fosse affetto da autismo. Chi conosce questa debilitante patologia sa che chi ne è affetto non solo verbalizza pochissimo ma, cosa ancor più grave, soffre di problemi cognitivi e relazionali.
C’è un elemento chiave che non può – e non deve – essere sottovalutato: Piercarlo Morello, per comunicare, ha utilizzato il cosiddetto sistema della scrittura facilitata (Woce), che consiste nello scrivere al computer mediante uno stimolo esterno dato con un tocco al dorso da parte di un assistente alla comunicazione. Tuttavia il tipo di autismo di cui soffre Piercarlo è quello denominato “a basso funzionamento”, ciò comporta la mancanza di verbalizzazione eccetto poche parole, con associati enormi problemi cognitivi e relazionali. Sembrerebbe improbabile quindi che chi ne soffre possa poi essere in grado di redigere una tesi di laurea esprimendo concetti elaborati come: “…ho contro un male che rende la vita muta, solitaria, vacua e bisognosa di altri, ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani calmi e colori di luce.”
Non sono poche le fonti autorevoli scettiche sulla questione, tra queste si annota la voce della professoressa Liana Baroni Fortini, presidentessa dell’Angsa (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici) che, in merito ai fatti ha commentato: “Angsa si congratula vivamente con Pier Morello per la laurea conseguita. Tuttavia se il brano che ha citato è stato scritto da Pier e non dal suo facilitatore, Pier non può dirsi autistico, poiché dimostra di avere una comunicazione sociale molto buona”.
Fin dove si può parlare dunque di speranza e fin dove di illusione dunque, del resto il caso in esame non è isolato, in altre occasioni si è letto di straordinari risultati ottenuti da soggetti autistici grazie ad un “facilitatore” di sostegno. Ancora una volta interviene l’Angsa che sottolinea: “Pier può essere diagnosticato come muto ma non come autistico, e se qualcuno ha fatto questa diagnosi si tratta di un errore diagnostico”.
A mettere un altro punto sull’inattendibilità dei risultati raggiunti da Pier, in merito all’uso della comunicazione facilitata, è l’Istituto Superiore di Sanità che tra le sue linee guida dichiara tale intervento di supporto come non raccomandato per l’autismo, linea guida n.21 del 2011.
Sebbene la storia di Pier sia positiva e senza togliere nulla alla gioia raggiunta da lui e dalla sua famiglia, in casi simili bisogna restare con i piedi in terra. Il rischio è quello di perdere di vista il problema più importante, che sarebbe quello delle autonomie di base della vita quotidiana e dei traguardi raggiungibili da parte dei malati di autismo.