Di certo, la scrittrice Simona Vinci non si sarebbe mai aspettata una così forte presa di posizione da parte della Diocesi di Bologna che, tramite le colonne del settimanale diocesano Bologna Sette ha fatto sapere di voler annullare il matrimonio della scrittrice, con un articolo del giudice Paola Cipolla.
Il motivo? Un post su Facebook della Vinci che, in uno slancio di onestà, aveva descritto i veri motivi che l’hanno portata al ‘grande passo’. Non per lei, evidentemente: “Lo faccio per tutelare mio figlio“, il succo del discorso. Ecco il post completo: “Ci siamo sposati per tutelare nostro figlio, e perché le leggi dello Stato Italiano non garantiscono l’assistenza e la facoltà decisionale della compagna e del compagno di vita in caso di gravi malattie che purtroppo possono capitare. Non ho mai avuto il mito del matrimonio romantico e trovo una pagliacciata tutto ciò che ruota attorno ad un contratto. Bisognerebbe svincolare questo contratto dall’aspetto ‘sessuale’. Una famiglia può benissimo essere un patto tra persone (amici, amiche) che condividono oneri, diritti e doveri per scelta e per affetto. La spesa, alla faccia del business dei matrimoni sfarzosi, è stata di 16 euro in marca da bollo”.
Parole che proprio non sono andate giù alla diocesi, che ha replicato per bocca del legale Paola Cipolla: “Non si può decidere di sposarsi solo perché così si ottengono diritti e benefici che diversamente, non si avrebbero secondo la legislazione vigente. Così tutto perde il suo senso, diventa un pro-forma, una farsa, una simulazione: per l’ordinamento italiano quel matrimonio è nullo, così come è nullo il matrimonio celebrato al solo fine di acquistare la cittadinanza. Il matrimonio è di più, molto di più. Il senso di celebrare il matrimonio non può stare nella ricerca di una tutela istituzionale”. Insomma, la Chiesa proprio non ci sta a considerare il matrimonio una ‘corsia preferenziale’ per ottenere benefici dallo Stato, ma è davvero legalmente legittima questa presa di posizione?