Forgiato nel bronzo a Perugia, poco prima della metà del IV secolo a.C. per un soldato locale, è arrivato a Vulci, dove qualche anno più tardi divenne il vanto di un secondo guerriero, così fiero di quel suo copricapo militare che se l’è portato nella tomba con tutti i suoi averi.
L’elmo, esposto in una vetrina del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia già dal 1935, è stato accuratamente controllato solo nel 2019 quando è stata avviata la sua digitalizzazione tridimensionale. Gli addetti ai lavori hanno constatato che quella scritta “harn ste” all’interno del paranuca dell’elmo non era mai stata studiata.
A raccontare i dettagli sulla nuova scoperta che apre uno squarcio di grande suggestione su un frammento di vita di 2400 anni fa, è stato l’etruscologo Valentino Nizzo, direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, che l’ha definita “una storia rimasta nascosta sotto gli occhi di tutti. Perché la magia e anche il paradosso di questa scoperta è che sia avvenuta proprio all’interno del museo, dove l’elmo in questione era esposto. Solo che nessuno aveva notato quanto era stato inciso al suo interno”
Gli scavi, avviati nel 1928 da Ugo Ferraguti e Raniero Mengarelli, erano stati condotti con estrema cura usando un metodo scientifico dopo anni di saccheggi indiscriminati. Ma quando l’elmo è stato recuperato dalla tomba 55 nella necropoli dell’Osteria di Vulci, il bronzo doveva essere incrostato di terra e ossidato e per questo nessuno aveva notato quell’incisione tanto preziosa.
In tutto il mondo sono circa una decina le armi di questo tipo documentate in ambito etrusco e italico tra il VI e il III secolo a.C. L’elmo appartiene ad un’epoca in cui da nord a sud c’erano numerosi conflitti. Finito il momento dei piccoli eserciti armati da singole famiglie si apriva l’epoca dei mercenari, soldati di mestiere disposti anche a spostarsi. Da qui il nome inciso sotto l’imbottitura dell’elmo, spiega il direttore “per attestarne la proprietà e chissà forse anche come biglietto da visita per presentarsi a qualcuno con il quale non si condivideva la lingua”.