Roma, pena ridotta a 30 anni per Seferovic: bruciò vive tre sorelline in un camper

Dall'ergastolo a 30 anni di reclusione. È quanto ha stabilito la giustizia per Seferovic, all'epoca dei fatti, 20enne, accusato di aver arso vive tre sorelline in un camper nel famoso rogo di Centocelle.

Roma, pena ridotta a 30 anni per Seferovic: bruciò vive tre sorelline in un camper

Condannato in primo grado all‘ergastolo, Serif Seferovic, dal carcere di Torino in cui è recluso, si è visto ridurre la pena a 30 anni di reclusione. Il ragazzo, all’epoca dei fatti, nel 2017, 20enne, partecipò al rogo di Centocelle, costato la vita alle sorelle Francesca, Angelica ed Elisabeth Halilovic. La riduzione della pena è avvenuta con la motivazione che non è stato possibile stabilire se Seferovic abbia lanciato materialmente le bottiglie incendiarie che hanno arso vive le tre povere sorelle.

Era stato il procuratore generale Giancarlo Amato ad avanzare la richiesta di una pena a trent’anni di reclusione anche se, ha specificato, questo “non deve far pensare a una ridotta responsabilità. Si è arrivati alla decisione solo in base all’applicazione di calcoli giuridici diversi“. Il ragazzo venne arrestato pochi giorni dopo ai terribili omicidi, a Torino, ma attorno all’incendio ruotano altri protagonisti: la cognata, Lizabeta Vicola, condannata a 20 anni di reclusione, e i fratelli di Serif, che sono riusciti a fuggire, sottraendosi all’arresto. Uno si troverebbe non in Italia ed un altro, Renato, in Bosnia.

Il rogo in cui hanno perso la vita le tre sorelle

L’episodio di quello che è stato ribattezzato dalla cronaca nera come rogo di Centocelle, risale al 10 maggio 2017. Era notte quando un incendio, divampato dopo il lancio di bottiglie molotov, distrusse completamente un camper in sosta nel parcheggio di un centro commerciale, nel quartiere est di Roma.

All’interno del mezzo viveva un’intera famiglia rom di 13 persone, 10 delle quali (madre, padre e 8 figli) riuscirono a salvarsi, mentre per 3 sorelle non ci fu nulla da fare. Le indagini si orientarono subito verso le tensioni tra 2 famiglie del campo nomadi di via Salviati: gli Halilovic e i Seferovic. 

Un’aggressione simile si era verificata solo alcuni giorni prima, quando due ordigni vennero lanciati contro la casa mobile della nonna delle vittime. Gli investigatori, pertanto, in breve tempo, riuscirono ad arrivare a Serif e Lizabeta.

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