Parliamo del pm di Palermo, Nino Di Matteo, da anni in prima linea nella lotta alla mafia. Ebbene, il giudice che sta indagando sulla scottante trattativa Stato-mafia, ha presentato un ricorso al Tar, nel quale attacca duramente il Consiglio Superiore della Magistratura. Con questo ricorso, tramite i suoi legali Mario Serio e Giuseppe Naccarato, Di Matteo chiede la sospensione della delibera che ha promosso i sostituti Eugenia Pontassuglia, Salvatore Dolce e Marco Del Gaudio.
Secondo Di Matteo e i suoi legali, infatti, con questa mossa il Csm avrebbe violato l’articolo 47 della Costituzione, ed avrebbe commesso un abuso di potere. I toni del ricorso sono duri; in esso, Di Matteo afferma che sono stati ignorati meriti e abnegazione del magistrato, durante tutti questi anni spesi “al servizio della Giustizia. Appare addirittura beffardo che, dopo lunghi mesi di notorietà delle spietate minacce rivolte dalla mafia, il Csm se ne sia ricordato promuovendo un procedimento ufficioso di trasferimento extra ordinem, esattamente alla vigilia della deliberazione sul concorso, con ciò rivelando platealmente il suo orientamento negativo all’accoglimento della domanda”.
Si tratta, secondo gli avvocati “di una proposta compensativa, in violazione con il principio dell’articolo 97 della Costituzione”. Ma il malessere di Di Matteo, a quanto sostengono i suoi avvocati, deriva soprattutto dalla “sistematica, algebricamente calcolata e calibrata sottovalutazione dell’ineccepibile e solidissimo profilo professionale del ricorrente”. Il nocciolo della questione è che, per quel che riguarda Di Matteo, non è stato attribuito il punteggio secondo i parametri della circolare, sminuendo il grande (e pericoloso) lavoro del Pm nella sua lotta alla mafia.
Nel ricorso, si compara anche il metro di giudizio diverso utilizzato per i candidati promossi e per Di Matteo, arrivato addirittura undicesimo nel concorso. Non solo è stata ignorata l’anzianità del pm rispetto ai colleghi, ma per gli altri candidati è stata riconosciuta una “profonda conoscenza della criminalità organizzata, di cui sorprendentemente non si fa cenno per il dott. Di Matteo”, che pure se ne occupa da 16 anni. Ora, la parola passa al Tar del Lazio.