Profughi, a Trieste il metodo dell’accoglienza diffusa funziona

Sono gli stessi profughi e gli operatori che li seguono a raccontarlo a il Fatto Quotidiano, al quale anche il presidente dell'Ics Gianfranco Schiavone ha spiegato qualcosa in più di questa nuova soluzione

Profughi, a Trieste il metodo dell’accoglienza diffusa funziona

Mentre nel resto del Paese la realtà dei centri profughi sembra radicarsi sempre di più nella mentalità della gente, nel punto più estremo del nordest italiano a vincere è il metodo dell’accoglienza diffusa. A Trieste, infatti, richiedenti asilo politico e rifugiati vengono fatti alloggiare a gruppi di 6-7 persone in appartamenti veri, dove vengono seguiti ognuno da un operatore. È il Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics) ad occuparsi della maggior parte dei migranti arrivati fin’ora nella città, quasi tutti attraverso quella che viene definita la “rotta balcanica“.

A Trieste, dove il mercato immobiliare è in crisi e il calo demografico comincia a farsi sentire, l’allarme migranti non viene percepito come tale – come invece avviene nel resto d’Italia – e viene gestito proprio con l’accoglienza diffusa. Anche i rapporti tra i profughi e i cittadini di Trieste sono buoni, probabilmente proprio perché grazie alla soluzione adottata i migranti vengono inseriti in una vita che è normale, simile a quella di chi, a Trieste, ci vive da anni.

Così, la diversità non viene più vista come qualcosa da cui è meglio stare alla larga, i profughi non sono più isolati all’interno di centri dedicati solo a loro che col tempo finiscono per diventare dei veri e propri ghetti, e l’integrazione tra queste due realtà presenti in città diventa naturale e spontanea. “Trieste è la dimostrazione che, in questo modo, il cambiamento si può gestire bene”, afferma il presidente dell’Ics Gianfranco Schiavone in un’intervista rilasciata a il Fatto Quotidiano.

La domanda da farsi, ora, è “Perché un modello del genere non viene adottato nel resto d’Italia?“. È sempre Schiavone ad azzardare una risposta durante la stessa intervista: “Si preferisce vivere alla giornata: lo Stato non inserisce alcun elemento di programmazione di lungo periodo, mentre sappiamo che quello dei flussi migratori non è una situazione destinata a cambiare in tempi brevi”.

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