Prete austriaco denuncia dopo 40 anni per dare coraggio alle altre vittime

Il sacerdote austriaco Anno Schulte-Herbrüggen, oggi sessantenne, ha raccontato pubblicamente di aver subito abusi quando aveva 19 anni nel convento dell’Ordine Teutonico a Lana, in Alto Adige.

Prete austriaco denuncia dopo 40 anni per dare coraggio alle altre vittime

La storia di Anno Schulte-Herbrüggen riemerge dopo decenni di silenzio ed è una testimonianza che tocca un tema delicatissimo, riportando l’attenzione su dinamiche interne alla vita religiosa che, per molto tempo, sono rimaste confinate nelle pieghe della discrezione. Oggi, a distanza di quarant’anni, il sacerdote austriaco ha scelto di ricostruire ciò che visse quando, appena diciannovenne, si trovava nel convento dell’Ordine Teutonico a Lana, nella diocesi di Bolzano e Bressanone.

Una fase della sua vita in cui cercava formazione, guida e orientamento, ma in cui si ritrovò invece ad affrontare pressioni e comportamenti inappropriati che, secondo il suo racconto, arrivavano direttamente dal suo superiore dell’epoca, padre Theo Neuking, scomparso nel 2002. Schulte-Herbrüggen ha spiegato all’emittente austriaca Orf che, in quel contesto, la distanza gerarchica era enorme e lui viveva una condizione di totale dipendenza educativa, un rapporto che avrebbe dovuto offrirgli protezione e sostegno.

Per questo motivo, afferma, non riuscì ad allontanare quelle situazioni che lo avevano profondamente turbato e che solo con il passare degli anni ha compreso quanto abbiano inciso sulla sua crescita personale e spirituale. All’epoca cercò un interlocutore all’interno dell’Ordine, confidandosi con un confratello. Invece di essere accolto con comprensione, racconta di aver ricevuto un rimprovero: secondo lui, gli fu attribuita una responsabilità che non aveva e venne giudicato per il semplice fatto di aver cercato aiuto.

Quel momento segnò una frattura, spingendolo al silenzio per lunghissimo tempo. Schulte-Herbrüggen ha spiegato che per anni ha provato un profondo malessere interiore, aggravato dalla sensazione di essere stato lasciato solo proprio quando avrebbe avuto bisogno del contrario. La scelta di tacere, racconta, derivò dalla paura di non essere creduto, dall’imbarazzo e da una cultura che tendeva a minimizzare episodi ritenuti scomodi. È stato necessario quasi mezzo secolo prima che trovasse il coraggio di raccontare pubblicamente quanto accaduto.

Oggi ha deciso di parlare non per cercare rivalsa, ma per dare forza a chi potrebbe essersi trovato nella stessa condizione. Dice di essere certo di non essere l’unico ad aver vissuto situazioni simili e di voler rappresentare un punto di riferimento per tutte le persone che, per anni, hanno portato dentro di sé turbamenti mai espressi per timore di essere giudicate o non ascoltate. La sua speranza è che la sua testimonianza possa incoraggiare un contesto più aperto, capace di accogliere e di affrontare con maturità e responsabilità le difficoltà di chi si sente vulnerabile.

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