Pescara, delitto al bar del Parco: la testimonianza di Stefano Cavallito

Cavallito ha fornito una ricostruzione precisa dei fatti e ha parlato anche dei rapporti tra gli imputati, sottolineando alcuni elementi cruciali che potrebbero aiutare a fare luce sulle dinamiche del caso.

Pescara, delitto al bar del Parco: la testimonianza di Stefano Cavallito

Luca Cavallito, l’ex calciatore rimasto ferito nella trappola al bar del parco il 1 agosto 2022, ha testimoniato durante l’udienza di giovedì 26 settembre presso la Corte d’Assise di Chieti. L’accusa, rappresentata dal procuratore Giuseppe Bellelli e dal sostituto procuratore Andrea Di Giovanni, ha esaminato Cavallito, che ha risposto con precisione e dettaglio alle domande poste, come confermato dal suo legale, l’avvocato Sara D’Incecco. La sera della trappola, un uomo ha aperto il fuoco nella parte esterna del bar affacciato sulla strada parco, sparando otto colpi di rivoltella.

La trappola mirava a Cavallito e all’architetto Walter Albi, che è deceduto nell’assalto. Cavallito, invece, è sopravvissuto ed è oggi il testimone chiave del processo. Nel corso della sua testimonianza, Cavallito ha nuovamente identificato l’imputato Mimmo Nobile come il killer. Ha confermato il riconoscimento avvenuto la sera stessa della trappola, spiegando che il riconoscimento non si è basato solo sulla voce dell’uomo e sulle parole pronunciate durante l’attacco, ma anche sul suo sguardo, sulle movenze e sul modo di camminare. Questi dettagli hanno rafforzato la sua certezza, secondo quanto riportato dall’avvocato D’Incecco.

Durante l’udienza, Cavallito ha ripercorso i momenti della trappola e ha parlato dei rapporti tra gli imputati e di affari loschi, svelando la complessa rete di legami che circonda il caso. Uno dei principali sospetti è il presunto mandante, Natale Ursino, con cui Cavallito aveva affari non risolti. Ursino, un uomo legato alla criminalità calabrese, era coinvolto in un grosso traffico di sostanze stupefacenti dall’Ecuador, che avrebbe dovuto portare un carico di 300 chili di sostanze stupefacenti.

Tuttavia, l’affare fallito ha lasciato un debito di 500mila euro, che, secondo l’accusa, potrebbe aver scatenato la vendetta.Cavallito ha anche rivelato che Albi, l’architetto deceduto durante la trappola, era un suo vecchio conoscente. Albi, stretto dai problemi economici, aveva preso decisioni discutibili, chiedendo a sua volta denaro a Ursino in cambio della sua partecipazione in una pericolosa traversata transoceanica legata al traffico di sostanze stupefacenti.

Nel corso della testimonianza, Cavallito ha citato anche Maurizio Longo, un altro imputato nel processo. Longo, secondo Cavallito, era il riferimento di Ursino a Pescara e avrebbe avuto un ruolo chiave come fiancheggiatore nell’intera vicenda. L’avvocato di Cavallito ha sottolineato che il processo è ancora in una fase delicata e complessa, con molti punti ancora da chiarire. La deposizione di Cavallito rappresenta un momento cruciale nel processo, gettando ulteriore luce sui rapporti tra gli imputati e i moventi dietro la trappola.

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