Pedopornografia: due anni e sei mesi di carcere per prete salesiano

Don Giorgio Porcellana è accusato di detenzione e divulgazione di foto e video con bambini piccoli di età. Il prete è stato arrestato a maggio a Milano e ha chiesto il patteggiamento. Condannato a due anni e sei mesi di carcere.

Pedopornografia: due anni e sei mesi di carcere per prete salesiano

Il sacerdote salesiano don Giorgio Porcellana, arrestato a maggio nell’ambito di un’inchiesta coordinata dal pm di Milano Giovanni Polizzi su un giro di pedopornografia online, ha patteggiato la pena di 2 anni e mezzo di carcere. Il sacerdote si trova al momento ai domiciliari nella casa dei genitori a Torino. L’accusa per l’uomo è di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico. Tra i file scambiati sul web vi sono anche numerose foto e video con bambini di pochi anni, filmati oggetto di violenze, maggiormente provenienti dall’Estremo Oriente.

I piccoli protagonisti nei filmati e nelle foto erano oggetto di violenze ed erano anche costretti ad avere rapporti sessuali tra loro o con animali. Secondo le accuse, il religioso aveva acquisito in particolare scatti di preadolescenti. Durante le conversazioni sul web con gli altri indagati, don Giorgio Porcellana non aveva rivelato la sua vera identità e diceva di essere un manager statunitense che veniva in Italia per motivi di lavoro.

Per diversi anni il prete visse a Oulx, località della Val di Susa, in provincia di Torino, e da poco era stato trasferito ad Alassio, in Liguria, dove è stato poi arrestato. Il Tribunale di Milano ha accolto la sua richiesta di patteggiamento, ma durante l’inchiesta erano state arrestate altre tre persone, anche loro accusate di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico aggravato dall’età minore delle vittime.

La sentenza definitiva è prevista per l’11 dicembre, ma altre persone sono indagate a piede libero. I presunti pedofili si incontravano sul social network russo Imgsrc.ru, che gli iscritti utilizzavano per pubblicare immagini di vario tipo. I collegamenti avvenivano attraverso commenti in codice a fotografie non pedopornografiche di bambini e poi spostavano postando poi le conversazioni su altre piattaforme e per la maggior parte in inglese.

Lo scambio prevedeva un ulteriore passaggio di immagini con il sistema del “peer to peer”. Le indagini sono state effettuate da agenti della polizia postale infiltrati, che hanno agito sotto copertura fingendosi pedofili.

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