Pandemia, l’isolamento volontario degli hikikomori

In Italia sono circa centomila i ragazzi che decidono di autoisolarsi in casa, i cosiddetti hikikomori, dal giapponese letteralmente "stare in disparte, isolarsi", che non si adattano all'ambiente circostante.

Pandemia, l’isolamento volontario degli hikikomori

Giacomo e Filippo sono solo due dei ragazzi italiani che hanno deciso volontariamente di autoisolarsi in casa, sono i cosiddetti hikikomori, termine che deriva dal giapponese e letteralmente vuol dire “stare in disparte, isolarsi”; non escono più di casa, ormai da quattro anni, si sono emarginati volontariamente perchè non accettano la competizione impostagli dalla società, oppure per problemi familiari, elevata sensibilità.

Marco Crepaldi, psicologo e fondatore dell’Associazione Hikikomori Italia spiega: “Molti hikikomori hanno vissuto un momentaneo sgravio di pressione durante la quarantena perché è venuta meno l’ansia di dover uscire e confrontarsi, Ma nel momento in cui la pandemia finirà, la distanza tra questi ragazzi e la società sarà ulteriormente marcata”.

In Italia sono centomila, un esercito di giovani tra i 14 e i 30 anni. Ma questo fenomeno è nato in Giappone, dove si contano oltre un milione di casi. E lo psicologo spiega che la preoccupazione sarà maggiore dopo il lockdown, in cui ci sarà un bisogno di uscire e invece gli hikikomori non vedranno vie di uscita.

Filippo, il ragazzo che non esce da quattro anni, ha abbandonato gli studi, dopo varie bocciature e si è ritirato dalla società all’età di 21 anni. Alla base, genitori separati e scarsa stima in se stesso, chiuso tutto il giorno nella sua cameretta, ha solamente una vita virtuale e nessuna vita sociale nella realtà. Anche Giacomo si basa sulla tecnologia e da cinque anni non ha più alcuna relazione sociale. Entrambi sono informati su tutto grazie alla lettura online.
Secondo lo psicologo Crepaldi, sono ragazzi che soffrono e rifiutano l’aiuto esterno perchè lo considerano ostile.

Secondo Edoardo Pessina, psicoterapeuta con i genitori, la pressione che i genitori imprimono sui figli li porta a questo atto di isolamento, per questo bisogna prima fare un lavoro sui genitori.
Molte volte i genitori sottraggono i computer ed i telefoni perchè i figli hikikomori vi passano tutto il giorno ma, secondo lo psicologo, la tecnologia è una conseguenza, e non la causa: “basti pensare che i primi hikikomori giapponesi, negli anni Ottanta, si emarginavano senza connessione internet” dichiara lo psicologo, che aggiunge: “In Italia si sta lavorando a progetti sperimentali in cui educatori professionisti, adeguatamente formati da psicologi, possano recarsi a casa dei ragazzi in isolamento sociale cercando di aiutarli direttamente a domicilio.

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