Nella case di riposo della Bergamasca è allarme organici

Nel corso dell'assemblea annuale dell'Associazione Case di Riposo bergamasche, lanciato l'allarme sull'insostenibilità della situazione dovuta alla carenza di organico e alla precaria situazione finanziaria

Nella case di riposo della Bergamasca è allarme organici

La pandemia da Covid-19 ha colpito duro nelle case di riposo della Bergamasca: nel primo semestre del 2020 hanno perso la vita 2255 ospiti (di cui 1229 ultraottantottenni), con un incremento del 127% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ora si prospetta una nuova difficoltà: nei prossimi 2 anni sono previsti 300 pensionamenti di dipendenti, andando ulteriormente ad aggravare il problema della carenza di organico che rappresenta un problema cronico nelle RSA della provincia e non solo.

In Bergamasca le 65 case di riposo ospitano attualmente circa 6000 ospiti e altrettanti lavoratori e un depauperamento così consistente di personale si farà sentire. Purtroppo nel Pnrr, lo strumento che deve dare attuazione ai fondi europei per la ripartenza post-pandemia, non è previsto nulla per il settore socio-sanitario essendo gli interventi previsti focalizzati quasi esclusivamente sul settore sanitario.

Questa è la denuncia che è risuonata negli interventi di Cesare Maffeis, presidente dell’Associazione Case di Riposo bergamasche e di Barbara Manzoni che rappresenta una trentina di residenze sanitarie e assistenziali di ispirazione cattolica nel corso dell’assemblea annuale che l’Acrb ha tenuto venerdì scorso al monastero di Astino posto nel comune di Bergamo.

Al centro della riflessione anche il “Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Durante i lavori è stata messa in luce una carenza del settore nella capacità di rappresentanza e interlocuzione nei tavoli istituzionali dove si prendono le decisioni che riguardano anche le RSA, auspicando una inversione di tendenza.

Le Rsa sono fondamentali anche per gli ospedali in un’ottica di integrazione» ha rimarcato Mirko Gaverini, vicepresidente dell’Acrb «per questo le case di riposo andrebbero tutelate anche dal Pnrr. In questo momento mancano 150-180 operatori per sostituire chi è andato via nell’ultimo anno» stima Gaverini «e nei prossimi due anni si avvicineranno alla pensione 300 operatori“.

L’attenzione del Pnrr, è stato fatto rilevare, è solo sugli ospedali ai quali sono destinate ingenti risorse il che renderà più attrattivo quel comparto, con la conseguenza che personale delle RSA sceglierà di trasferirsi su quel comparto. Per questo, ha detto Maffeis, l’Acrb “è impegnata a formare nuove figure professionali istituendo due corsi gratuiti per formare personale Asa da inserire successivamente nelle residenze”.

“Oggi lavorare in Rsa non è considerato affascinante ha aggiunto Manzoni “ma questo non è del tutto vero: sono ambienti importanti sia per la crescita professionale sia relazionale e ora anche gli stipendi si sono allineati a quelli degli ospedali“. È indispensabile però che il sostegno economico più volte promesso si concretizzi, a cominciare dallle provvidenze economiche a compenso delle minori entrate dal 2020 a oggi che non sono ancora state saldate. “Chiediamo alla Regione di mettersi una mano sul cuore” è l’appello di Manzoni “I bilanci pesano, a maggior ragione perché le nostre Rsa sono no profit: non sono “fondi” che mettono capitali tesi al profitto. Noi lavoriamo sulla prossimità e sulla vicinanza alla persona: un aiuto economico è vitale.

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