Muore per una trasfusione di sangue infetto: 450 mila euro di risarcimento alla famiglia

Una donna è deceduta nel 1983 per un'epatite C provocata da una trasfusione di sangue infetto all'ospedale di Salerno. A distanza di quasi 40 anni, la Corte d'Appello di Salerno ha condannato l'Asl locale a risarcire la famiglia con 450 mila euro.

Muore per una trasfusione di sangue infetto: 450 mila euro di risarcimento alla famiglia

Una donna del Salernitano è deceduta nel 1983 in seguito ad un’epatite C, contratta a causa di una trasfusione di sangue infetto a cui si era sottoposta all’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno. 

Ora per la famiglia della vittima è stato disposto un maxi risarcimento: 450 mila euro. Lo ha deciso la Corte d’Appello di Salerno, che ha condannato l’Asl locale a risarcire gli eredi della donna. 

La vicenda 

Negli anni 80, in alcuni casi sono state effettuate trasfusioni di sangue proveniente da donatori non controllati approfonditamente e in modo adeguato. Il risultato, per molti pazienti, è stato l’insorgere di malattie infettive come l’epatite oppure l’Aids. Il rappresentante legale della vittima, l’avvocato Pasquale Berna del foro di Nocera Inferiore, ha detto: “Sono molto soddisfatto per questo risultato ma anche amareggiato perchè non l’ho potuto condividere con la diretta interessata che purtroppo non è sopravvissuta alle plurime patologie post contagio”.

Il legale ha spiegato l’importanza di una sentenza del genere. In questo tipo di cause, nella stragrande maggioranza dei casi, viene condannato il Ministero della Sanità per non aver adottato le misure idonee a prevenire e impedire la trasmissione di malattie mediante sangue infetto.

In questo caso, invece, la Corte di Appello di Salerno, nella persona del Presidente dr.ssa Crespi, accogliendo totalmente la tesi di parte attrice, ha riconosciuto un’ulreriore responsabilità nell’operato dell’ospedale di Salerno, già all’epoca centro trasfusionale, per non aver effettuato i dovuti controlli sulle sacche di sangue e per aver somministrato una trasfusione non necessaria, senza acquisire il consenso del paziente. 

Le conseguenze fisiche di queste trasfusioni infette, tuttavia, sono emerse solo dopo svariati anni, essendo danni cosiddetti lungo-latenti, quando i pazienti, purtroppo, hanno scoperto di essere ammalati, proprio come nel caso della donna in questione. L’ingente risarcimento ai familiari non potrebbe mai riportare in vita la donna. 

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