E’ morto a Città del Messico a 87 anni lo scrittore Gabriel Garcia Marquez. Fu insignito col premio Nobel per la Letteratura nel 1982. Era nato il 6 marzo del 1927 a Aracataca in Colombia. Gabo, così era soprannominato, era considerato il maggior esponente del cosiddetto realismo magico.
Fonti della famiglia hanno comunicato la morte dell’autore di “Cent’anni di solitudine” alla stampa colombiana. Garcia Marquez aveva compiuto 87 anni il 6 marzo scorso. “Per sempre Gabriel”, sottolinea in un titolo a tutta pagina il quotidiano di Bogota El Espectador.
La morte di Garcia Marquez è la notizia di apertura di tutti i siti online e dei notiziari tv in Brasile. Il premio Nobel colombiano è ricordato come “uno dei maggiori scrittori del XX secolo”. Molti media brasiliani mostrano immagini di “Gabo” a Cuba, al fianco del “suo amico Fidel Castro”. Il presidente della Colombia Juan Manuel Santos ha confermato la morte a Città del Messico di Gabriel Garcia Marquez: “mille anni di solitudine e tristezza per la morte del più grande dei colombiani di tutti i tempi. Solidarietà e condoglianze a Gabo e la famiglia”, sottolinea Santos in un tweet.
La politica ha sempre accompagnato la carriera letteraria di Gabriel Garcia Marquez, che malgrado il suo stretto rapporto con Fidel Castro ha sempre negato di essere comunista, anche se il suo amico Plinio Apuleyo Mendoz ha raccontato che una volta gli confessò il suo desiderio che il mondo fosse “socialista, e credo – disse – che prima o poi lo sarà”. “Gabo intende per socialismo un sistema di progresso, libertà e uguaglianza relativa”, ha aggiunto Mendoza, cercando di spiegare le preoccupazioni politiche del Premio Nobel colombiano. Le idee politiche dell’autore di “Cent’anni di solitudine” sono inseparabili dalla storia della Colombia, e – come il suo stile letterario – dall’influenza dei suoi nonni paterni, Nicolas Marquez Mejia e Tranquilina Iguran Cotes: se il gusto del fantastico della nonna segnò l’immaginazione del futuro scrittore, i racconti del nonno, un prestigioso militare veterano della cosiddetta “guerra dei mille giorni” (1899-1902) fra conservatori e liberali, servirono di base per la sua visione storica, segnata dal senso del tragico, dalla crudeltà e dal fascino del potere.
Nel suo memorabile discorso di accettazione del Nobel, Garcia Marquez ricordò le parole pronunciate dal suo “maestro, William Faulkner” davanti allo stesso pubblico – quando l’autore americano proclamò “mi nego ad ammettere la fine dell’uomo” – per sottolineare: “Noi inventori di favole, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non e’ ancora troppo tardi per intraprendere la creazione di una nuova e devastante utopia della vita, dove nessuno possa decidere per gli altri addirittura il modo in cui morire, dove davvero sia certo l’amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cento anni di solitudine abbiano finalmente e per sempre una seconda opportunità sulla terra”.