Il figlio di Dario Fo, Jacopo, ha avuto parole durissime per molti all’indomani della morte di suo padre. In un post pubblicato sulla sua pagina Facebook, infatti, l’uomo ha destinato parole al vetriolo contro coloro che ora piangono la morte di suo padre, dopo aver passato una vita intera ad aggredirlo e censurarlo.
Nella fattispecie Jacopo Fo ha scritto a chiare lettere che: “Sì, adesso sono tutti a celebrare Dario. Dopo una vita che han fatto di tutto per censurarlo e colpirlo in tutti i modi. Vaffanculo. Onore a Brunetta che ha detto che mio padre non gli è mai piaciuto”. Nel mirino di Fo jr sono finiti dunque tutti coloro che, spinti dal politically correct e dall’ipocrisia, hanno parlato di Dario Fo come un “grande uomo” dopo aver trascorso una vita a sputare veleno su di lui.
L’intervento ha subito trovato grande solidarietà nel popolo dei social, venendo condiviso oltre tremila volte e guadagnandosi più di 14.000 likes. All’interno della sua invettiva, pienamente giustificata dato il contesto, Jacopo ha voluto ricordare a tutti che: “Mio padre non ha mai chinato la testa davanti alle violenze, alle aggressioni, a tutto quelli che lui e mia madre hanno subito, perché era impensabile nel suo gusto di vivere“.
Sia Dario Fo che Franca Rame furono infatti oggetto di pesanti censure da parte della RAI, che li estromise dai propri palinsesti per oltre 15 anni come punizione per avere parlato apertamente di mafia in televisione, quando all’epoca la mafia era ritenuta unanimemente – e quanto mai opportunamente, per una chiara questione di interessi – “una leggenda” dagli apparati stessi del Governo e dello Stato.
“Lui è stato il primo a parlare di morti sul lavoro, il primo a parlare di mafia, quando si negava l’esistenza stessa della mafia” ha voluto ricordare il figlio del premio Nobel per la Letteratura, il quale ha poi spiegato che: “I miei genitori ricevettero una lettera scritta con il sangue umano in cui scrivevano tutte le torture che io avrei subito, a 7 anni, con una bara bianca in segno di esecuzione e morte“.
“Per mesi sono andato a scuola scortato dai carabinieri. Allora come si fa a non vedere che mi miei genitori hanno pagato col sangue?“. Parole ineccepibili, specialmente in relazione alla terribile sorte che lo Stato di allora ha voluto riservare a sua madre nel 1973, ad opera di cinque balordi stupratori che, per quelle atrocità, non hanno mai scontato un solo giorno di galera.