Morta ad Arezzo la "Circe della Versilia". Negli anni Ottanta scandalizzò l’Italia per un delitto

Fu accusata, insieme all’amante Carlo Cappelletti, di aver ucciso il marito Luciano Iacopi a Forte dei Marmi, la notte fra il 16 e il 17 luglio 1989, per incassarne la ricca eredità.

Morta ad Arezzo la "Circe della Versilia". Negli anni Ottanta scandalizzò l’Italia per un delitto

Si chiamava Maria Luigia Redoli, e negli anni Ottanta diventò tristemente famosa per aver ucciso il marito per questioni di eredità. La donna è morta lunedì ad Arezzo, all’età di 80 anni. Da tempo era malata di una patologia renale, e il 9 gennaio era stata ricoverata in nefrologia all’ospedale San Donato.

Redoli salì agli onori della cronaca nell’estate del 1989: insieme all’amante Carlo Cappelletti, un ex carabiniere di 23 anni, fu arrestata per aver assassinato a Forte dei Marmi, terra di vacanzieri vip, il marito Luciano Iacopi, un ricco imprenditore immobiliare. L’uomo fu assassinato con 17 coltellate nel garage della sua abitazione.

Assolta in primo grado per insufficienza di prove, la donna fu poi condannata all’ergastolo dalla Corte d’Appello perché ritenuta colpevole di omicidio premeditato aggravato dal grado di parentela. I giudici aveva infatti stabilito che lei e Cappelletti avevano ucciso Iacopi per incassarne l’eredità, sette miliardi di vecchie lire, più diversi beni immobiliari.

Il 1° aprile 2015, dopo 24 anni di carcere, il tribunale di sorveglianza di Milano le aveva concesso la libertà vigilata per buona condotta, e si era trasferita in provincia di Pavia insieme al secondo marito Alberto Andena, conosciuto quando era ancora dietro le sbarre. Poi, lo spostamento ad Arezzo, dove ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.

La Redoli era soprannominata la Circe della Versilia, poiché dedita alla magia nera e all’occultismo. Una volta, aveva anche tentato di uccidere il marito mediante una fattura mortale, ma inutilmente. Non contenta, aveva pagato 15 milioni di lire a un fattucchiere per assoldare un killer, poi ci aveva ripensato, e aveva preteso la restituzione della somma.

Negli ultimi tempi, era cambiata. Prestava volontariato in una cooperativa di Cesano Boscone, dove assisteva i disabili psichici. Ad Arezzo tutti conoscono questa storia di sangue e di morte, ma nessuno sembra sapesse che la donna viveva in città. Eppure, il suo era un cognome che negli annali della cronaca nera italiana vi era entrato di diritto.

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