Dopo 10 anni dalla morte della 13enne Yara Gambirasio, scomparsa il 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra (Bergamo) e trovata morta il 26 febbraio 2011, il caso del suo omicidio potrebbe riaprirsi. Dopo la condanna definitiva all’ergastolo per Massimo Bossetti, pronunciata il 12 ottobre 2018, dalla Corte di Cassazione; il 13 gennaio scorso la Corte Suprema ha annullato con rinvio le ordinanze con cui il presidente della Corte d’Assise di Bergamo aveva respinto, dichiarandola inammissibile, la richiesta degli avvocati di Bossetti di accedere ai reperti dell’indagine.
Ora si torna a Bergamo e stavolta altri giudici dovranno nuovamente pronunciarsi sulla possibilità che la difesa di Bossetti visioni i campioni di Dna e gli abiti di Yara.
Le parole di Claudio Salvagni, avvocato di Bossetti
Claudio Salvagni, avvocato di Massimo Bossetti, in un’intervista effettuata da Cusano Italia Tv, ha detto che il Bossetti è molto contento, positivo, che continua a credere nella giustizia, tanto da voler uscire a testa alta dal portone dal carcere, convinto che i nuovi esami attesteranno che quel Dna non è il suo, che non è lui Ignoto 1, che non ha mai visto, toccato e tanto meno ucciso Yara Gambirasio.
L’avvocato definisce quello al muratore di Mapello come il processo delle anomalie e delle zone d’ombra, dove gli inquirenti hanno bypassato quello che non sono riusciti a ricostruire, sottolineando quanto il movente sia importantissimo nei processi indiziari, essendo il collante che tiene insieme tutti gli indizi.
Salvagni ha aggiunto che, nel caso specifico, le sentenze dicono che manca un movente. “E’ un caso oggettivo che Massimo Bossetti e la povera Yara non si sono mai visti, mai incontrati, non si conoscevano”, aggiunge.L’arresto di Massimo Giuseppe Bossetti risale al 16 giugno 2014, circa 4 anni dopo il caso di Yara. Il muratore, incensurato, è stato identificato grazie a un’indagine genetica, condotta confrontando il Dna del killer con quello della popolazione maschile della Bergamasca.