Licenziato il portuale di Trieste che manifestava mentre era in malattia

E' stato licenziato il portuale di Trieste che manifestava mentre era in malattia. Le sue giustificazioni non sono bastate a bloccare il provvedimento.

Licenziato il portuale di Trieste che manifestava mentre era in malattia

L’ex pugile da domani non lavorerà più per l’Agenzia per il lavoro portuale di Trieste. Le giustificazioni del portuale Fabio Tuiach: Ufficialmente ero in malattia, se sono sceso in piazza, non l’ho fatto negli orari in cui avevo l’obbligo di restare a casa per le visite fiscali, sono stato quindi corretto.

Così si giustificava quando ha adocchiato il rischio attorno alle sue uscite in piazza,  per protestare contro il green pass anche se risultava in malattia, richiesta al medico perché sotto choc per le botte prese durante le contestazioni al varco 4.

Le giustificazioni non sono bastate e tra ieri e oggi non solo gli è arrivato l’ultimo test che certifica la sua negatività al Covid, di cui si era ammalato a causa, secondo lui, degli idranti della polizia, ma nella cassetta delle lettere ha trovato anche l’avviso di licenziamento.Il licenziamento è il primo atto che fa seguito all’esposto di qualche settimana fa presentato dal presidente della società Francesco Mariani per indagare le numerose posizioni dubbie di lavoratori rimasti a casa in malattia proprio dopo il 15 ottobre, giorno in cui il green pass è diventato obbligatorio al lavoro. Il portuale commenta dicendo che: La lettera so che è arrivata a qualcun altro. È assurdo non possiamo scioperare, è dittatura. Spero che crolli tutto.

Non mi resta che pregare: anche stasera ero in piazza Unità a fare il rosario con un gruppetto di dieci persone» Oltre al licenziamento gli viene contestato il danno d’immagine: durante le proteste aveva addosso il gilet giallo con il nome della ditta. Ma Tuiach si sente in ogni caso incolpevole.

Chiarisce che si è fatto vedere fuori durante la malattia, , ma nel rispetto degli orari, per lottare per quei diritti per cui combatteva suo papà negli anni ‘70. Hanno riempito di botte gli operai perché non vogliono abitare con il green pass. Le parole però non bastano. E oltre alle preghiere dovrà trovare una soluzione. «Ha cinque figli, di cui uno disabile grave, ha necessità di lavorare., e dichiara si rivolgerà ad un avvocato.

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