Antonino Madonia, detto Nino, figlio del boss di Resuttana Francesco, alleato con i Corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano, si trova in carcere dal dicembre del 1989: adesso esige dallo Stato una riduzione di pena per essere stato trattato in modo disumano in alcuni dei penitenziari in cui è stato detenuto.
L’istanza risale al 2014, e la Cassazione – qualche giorno fa – ha sentenziato che merita di essere vagliata dal magistrato di sorveglianza di Milano. L’articolo 35-ter, dell’ordinamento penitenziario, introdotto nel 2014, è un rimedio risarcitorio in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’art. 3 della CEDU.
È stato introdotto dopo le ripetute condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo per il sovrappopolamento delle carceri: prevede, nel caso in cui le violazioni siano acclarate, una riduzione della pena detentiva, un giorno per ogni 10 vissuti nel pregiudizio, o 8 euro di risarcimento per ogni giorno passato in condizioni non compatibili con i precetti della Cedu. Madonia si è appellato a tale articolo.
Nel suo ricorso indica, come imputabili, i periodi di detenzione trascorsi presso la casa circondariale dell’Asinara, dal 1993 al 1997, e la casa circondariale di Cagliari, dal 1997 al 1998: le altre carceri, in cui ha soggiornato, erano di suo gradimento malgrado, ha sottolineato, la detenzione fosse sotto il regime speciale ex 41-bis.
Il 18 novembre 2014, il magistrato di sorveglianza non prende in considerazione il ricorso: Madonia si oppone, e il 10 dicembre 2014 l’impugnazione viene passata alla Cassazione. Due anni e mezzo dopo, la decisione: “Rimessione degli atti al magistrato di sorveglianza di Milano affinché esamini il merito della domanda di Madonia“.
Madonia ha continuato, anche sotto il 41 bis, a dare ordini dal carcere utilizzando le migliori tecniche mafiose costituite da linguaggi e codici segreti, parole, sguardi durante i processi.
Occorre ricordare chi è Antonio Madonia: la mattina del 30 aprile 1982, in sella ad una moto, affiancò la Fiat 132 di Pio La Torre, il firmatario della legge sulla confisca dei patrimoni ai mafiosi, per crivellarlo di colpi insieme all’autista Rosario Di Salvo.
La sera del 3 settembre 1982 uccise il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro, e l’agente di scorta Domenico Russo. Il 29 luglio 1983 fece esplodere 75 chili di esplosivo ammassati in una Fiat 126 verde: Rocco Chinnici, l’ideatore del pool antimafia di Falcone e Borsellino, il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere di condominio Stefano Li Sacchi saltano in aria.
Il 6 agosto del 1985 ammazzò il vicecapo della Squadra mobile Ninni Cassarà. È implicato anche nell’ attentato fallito al giudice Giovanni Falcone all’Addaura.