L’Aquila, le famiglie dovranno pagare per i figli deceduti nel terremoto del 2009

La Corte d'Appello dell'Aquila ha confermato una sentenza del 2022 stabilendo che i giovani deceduti nel terremoto del 6 aprile 2009 avevano assunto una "condotta incauta". Ora i familiari dovranno anche pagare quasi 14 mila euro di spese legali.

L’Aquila, le famiglie dovranno pagare per i figli deceduti nel terremoto del 2009

Nel tragico terremoto che ha colpito L’Aquila il 6 aprile 2009, molte famiglie hanno perso i loro cari. A distanza di anni, una nuova sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila ha riaperto il dolore mai guarito. I giudici hanno confermato la sentenza di primo grado del 2022, stabilendo che i ragazzi deceduti durante il sisma avevano assunto una “condotta incauta“. Questo verdetto non solo nega qualsiasi risarcimento ai familiari, ma impone loro anche il pagamento delle spese legali, pari a quasi 14 mila euro.

Il 31 marzo 2009, la Commissione Grandi Rischi si riunì a L’Aquila per discutere della sequenza sismica che da mesi interessava il Centro Italia. Durante l’incontro, gli esperti rassicurarono la popolazione, minimizzando i rischi di un forte evento sismico imminente. Tuttavia, cinque giorni dopo, un terremoto colpì la città, causando il decesso di 309 persone

In seguito alla vicenda, il Tribunale dell’Aquila condannò inizialmente a sei anni di reclusione i sette scienziati che avevano partecipato alla riunione. Tuttavia, in appello, tutti furono assolti, eccetto Bernardo De Bernardinis, l’allora vicecapo della Protezione Civile, la cui condanna a due anni fu confermata anche in Cassazione. De Bernardinis fu ritenuto responsabile di aver diffuso messaggi rassicuranti subito dopo la riunione, inducendo così la popolazione a non adottare misure di precauzione, come l’uscita dalle abitazioni dopo una scossa.

Nella recente sentenza, i giudici hanno stabilito che non vi sono prove sufficienti per dimostrare che le rassicurazioni fornite dalla Commissione Grandi Rischi abbiano influenzato il comportamento delle giovani. In particolare, il caso di Nicola Bianchi è stato esaminato dettagliatamente. La sentenza rileva che “non c’è prova della fonte della conoscenza della riunione del 31 marzo e della motivazione della rassicurazione tratta“, escludendo così il nesso causale tra le dichiarazioni di De Bernardinis e la decisione del ragazzo di rimanere a L’Aquila per sostenere un esame l’8 aprile.

Per i familiari, questa sentenza rappresenta un ulteriore colpo. Non solo hanno perso i loro figli in una situazioni evitabile, ma ora si trovano anche a dover sostenere spese legali significative. La decisione della Corte d’Appello ha sollevato molte critiche e sconcerto nell’opinione pubblica, poiché viene percepita come una negazione di giustizia per i familiari.

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