La stangata, che ha colpito oltre 400 famiglie aquilane, è diventata una questione di grande rilievo nell’ambito della ricostruzione post-terremoto del 2009. Molti cittadini si sono trovati a ricevere intimazioni di pagamento per contributi di autonoma sistemazione che il Comune sostiene siano stati percepiti indebitamente. Si tratta di una situazione che si è protraendo per ben quattordici anni e mezzo, mettendo a dura prova queste famiglie che avevano già subito enormi tragedie a causa del sisma.
Tale misura di autonoma sistemazione è stata varata tramite ordinanza nel 2009, solo tre giorni dopo il terremoto che ha causato numerosissime vittime e sfollati. Lo scopo era di fornire un contributo alle famiglie che non avevano scelto di sistemarsi in alberghi o nelle nuove città costruite dallo Stato. I contributi, che arrivavano fino a un massimo di 400 euro al mese per nucleo familiare, avevano l’obiettivo di fornire un sostentamento a chi aveva subito la perdita della propria abitazione.
Tuttavia, l’assegnazione di questi contributi non era senza restrizioni. Ad esempio, le famiglie avrebbero perso il diritto al contributo una volta che l’abitazione fosse stata ripristinata all’agibilità e veniva richiesto di comunicare al Comune questa situazione. Inoltre, il termine per completare i lavori di riparazione su abitazioni con danni lievi era fissato entro sei o sette mesi dalla comunicazione del contributo definitivo. Tutte queste scadenze e norme hanno creato una serie di complicazioni che hanno portato alla situazione attuale.
Il Comune di L‘Aquila ha effettuato un’attenta ricognizione che ha portato all’individuazione di oltre 400 famiglie che avrebbero eluso tali termini e percependo più fondi di quanto dovuto. Di conseguenza, queste famiglie si sono ritrovate a ricevere intimazioni di pagamento tramite raccomandata, con importi che variano da alcune centinaia di euro a diverse migliaia di euro. La questione centrale è se il Comune abbia effettivamente il diritto di chiedere il pagamento di tali somme così tanto tempo dopo. Gli aquilani si sono già organizzati per presentare ricorsi in risposta a queste intimazioni. Mentre il Comune, anche se non in modo ufficiale, sostiene che non vi sia prescrizione e che il termine per richiedere il pagamento decorra dall’accertamento dell’indebita percezione.
D’altro canto, l‘avvocato Arturo Lely, che sta gestendo i primi ricorsi, è del parere che una richiesta di restituzione dovrebbe prescrivere entro dieci anni e potrebbe persino essere ipotizzata una prescrizione breve di cinque anni per emolumenti periodici.Questa controversia avvierà inevitabilmente una battaglia legale, ma presenta anche un aspetto politico. L’assessore alle Politiche Sociali, Manuela Tursini, cerca di minimizzare il coinvolgimento politico definendo la questione come amministrativa. Tuttavia, il Comune sta valutando diverse modalità per agevolare il pagamento, come la possibilità di rateizzare le somme e la disponibilità a verificare eventuali errori relativi alle intimazioni di pagamento. La vicenda dell’autonoma sistemazione ha sempre suscitato l’attenzione delle forze dell’ordine e delle istituzioni.
Il Comune di L’Aquila ha iniziato i controlli sulle posizioni sospette nel 2015 su suggerimento della Corte dei Conti e nel 2020 è stato stimato che sarebbero stati recuperati circa tre milioni di euro di contributi indebitamente percepiti. Sono state esaminate ben 6mila posizioni considerate sospette tramite la società privata Assoservizi. In conclusione, la stangata che ha colpito queste oltre 400 famiglie aquilane rappresenta un problema complesso e controverso. La lotta per trovare una soluzione si prospetta lunga e difficoltosa, con implicazioni sia legali che politiche. Nel frattempo, i cittadini aquilani che si trovano nella situazione di dover pagare questi contributi indebitamente percepiti cercano di organizzarsi al meglio per far valere le loro ragioni.