Infedeli per l’Isis, terroristi per l’Occidente: cosa sono i siriani?

Zaina Erhaim, corrispondente del The Guardian, racconta la sua verità sui siriani: un popolo oppresso in patria, e discriminato fuori. Tra amici morti e scellerati pregiudizi, ecco la sua testimonianza

Infedeli per l’Isis, terroristi per l’Occidente: cosa sono i siriani?

Spesso la vita è crudele, con alcuni più che con altri. E se è vero che gli dèi (laicamente rappresentati oggi dai media) tormentano solo chi riescono a vedere, allora il popolo siriano è messo veramente male. Perché la Siria oggi è nell’occhio del ciclone, o per utilizzare una metafora più precisa, è chiusa tra due fuochi. La denuncia parte da Zaina Erhaim, corrispondente siriana per il britannico The Guardian nonché collaboratrice dell’Institute for War and Peace Reporting, la quale racconta dei tragici risvolti che caratterizzano l’essere siriani al giorno d’oggi. Il primo esempio che fa è quello di un amico, dal nome fittizio di Mohammad. Mohammad è appena uscito da una delle carceri dell’Isis, cosa impronosticabile inizialmente, al punto che molti dei suoi amici l’avevano dato per morto.

Mohammad è irriconoscibile: ha perso dieci chili, fatica persino a reggersi in piedi. “E’ vestito come se fosse appena uscito da una tomba”, commenta la giornalista. Il trentenne, farmacista di professione, era stato condotto dagli estremisti islamici nella periferia di Aleppo, e sembra sia rimasto in carcere per circa una settimana. Un lasso di tempo più che sufficiente a ridurlo in quello stato pietoso. Mohammad è un musulmano devoto, ma l’Isis non riconosce come tale nessuno che rifiuti di abbracciare il loro delirante e sanguinario modus operandi. Insomma, Mohammad è un nemico dichiarato dell’Isis, che lo considera alla stregua di un eretico. E questa è la prima metà del paradosso, destinato a compiersi con la seconda considerazione.

Perché Mohammad, come molti altri siriani, non ha voluto abbandonare la barca che stava affondando. Per motivi che non ci competono; sia patriottismo, sia semplice empatia nei confronti delle persone che ora soffrono nel suo Paese, nella sua città, ridotte in schiavitù dal tirannico giogo dei fondamentalisti islamici. Così Mohammad ha deciso, insieme ad alcuni medici locali, di rimanere. Di dare il suo contributo, per piccolo che sia, alla popolazione sottomessa e terrorizzata alla meglio, alla peggio deportata, torturata e giustiziata. Ma ovunque vada, Mohammad viene riconosciuto come terrorista. Perché? Perché proviene da quei territori occupati dall’Isis. Il mese scorso, insieme ai medici già citati, è stato fermato al confine con la Turchia: “Tornatene nel tuo Stato Islamico” si è sentito rispondere, sebbene tutti i membri del gruppo disponessero di un passaporto valido, e non avessero effettivamente nulla a che fare con l’Isis.

La Erhaim continua raccontando di come un banchiere di Gaziantep, Turchia, le abbia confessato che “Siete tutti terroristi per gli americani”, spiegandole perché non era più possibile il trasferimento di dollari statunitensi su conti di intestatari siriani. La stessa giornalista, che oltre a lavorare per il The Guardian collabora anche con prestigiosissimi colossi come la BBC, già la scorsa estate si era vista annullare la propria VISA senza che le venissero fornite spiegazioni: “Tu vivi in Siria-le avrebbe detto un amico che lavora negli Stati Uniti-quindi probabilmente sei una criminale, in un modo o nell’altro”. E’ questa la tragedia odierna dei siriani, torturati e calpestati dai terroristi dell’Isis, e tacciati a loro volta di terrorismo dai Paesi occidentali.

Il racconto della Erhaim è accorato, a tratti straziante; ricorda di come lo scorso Dicembre, al London’s Heathrow, l’aeroporto principale della capitale inglese, il solo sentire la polizia chiamare una donna dal nome arabo le abbia fatto sobbalzare il cuore, facendole credere per alcuni istanti di assoluto terrore di trovarsi ancora al cospetto di un check point dell’Isis in Siria. Nella concitazione del momento, stava persino mettendosi a cancellare dal telefono le fotografie che la ritraevano senza velo“Una volta fuori dall’aeroporto-riporta la giornalista-sono scoppiata a piangere”.

Zaina Erhaim espone così la propria verità, vista dall’ottica del popolo siriano, drammaticamente oppresso in patria e vessato al di fuori dei confini nazionali. “Ho sette amici nelle prigioni dell’Isis, rapiti molto prima che il mondo si accorgesse di questi terroristi. Ne ho persi altri che hanno combattuto l’Isis nel Gennaio del 2014, provando a cacciare i militanti fuori da Edlib e dalla provincia di Aleppo”. La storia della corrispondente estera del The Guardian continua; altre morti, altre torture, altri amici perduti. E le bombe che piovono sulla città, senza risparmiare chi, con quella guerra, non ha davvero nulla a che fare.

Perché dietro agli estremisti islamici ed alle immancabili opinioni dei politici di turno, mediaticamente molto più ingombranti, c’è un intero popolo che soffre, sanguina e lotta disperatamente per la sopravvivenza. Martoriato dall’Isis da una parte, e discriminato dall’Occidente dall’altra. E solo comprendendo la sua disperata situazione, si può iniziare a capire come aiutarlo. Ecco cosa sono i siriani.

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