Fondi umanitari deviati e indagine antiterrorismo: luce su una rete nascosta tra Italia e Medio Oriente

Un’inchiesta coordinata dalla DDA di Genova ha portato a nove arresti e svelato un sistema di associazioni benefiche utilizzato per trasferire milioni di euro a Hamas, sollevando interrogativi sulla trasparenza dei flussi solidali.

Fondi umanitari deviati e indagine antiterrorismo: luce su una rete nascosta tra Italia e Medio Oriente

Una vasta operazione giudiziaria coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Genova ha portato alla luce un sistema ramificato e duraturo di raccolta e trasferimento di fondi dall’Italia verso Hamas, per un ammontare complessivo superiore ai sette milioni di euro.

L’indagine, culminata con nove arresti e numerosi indagati, ha evidenziato come dietro sigle formalmente presentate come associazioni benefiche si celasse un meccanismo strutturato, capace di operare per anni sul territorio nazionale e di convogliare risorse economiche verso l’organizzazione palestinese, eludendo controlli e sfruttando la copertura dell’assistenza umanitaria. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il sistema faceva leva su Onlus attive principalmente in Liguria e Lombardia, tra cui l’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese e la milanese La Cupola d’Oro.

Attraverso conti correnti dedicati e una rete di trasferimenti internazionali, il denaro raccolto da donazioni veniva fatto transitare all’estero e successivamente indirizzato verso Gaza e altri territori, dove finiva nella disponibilità di strutture riconducibili ad Hamas. Le indagini parlano di un utilizzo sistematico di triangolazioni bancarie e di rapporti consolidati con esponenti di vertice dell’organizzazione, che sollecitavano periodicamente l’invio delle risorse.

Il quadro emerso va oltre il semplice sostegno logistico. Gli investigatori descrivono un vero e proprio sistema di assistenza economica parallela, definito “welfare del terrore”, finalizzato a garantire supporto finanziario ai familiari di militanti detenuti o di persone coinvolte in azioni arm@te.

Un meccanismo che, secondo l’accusa, avrebbe avuto un ruolo centrale nel mantenere coesione interna e nel favorire il reclutamento, assicurando continuità all’attività dell’organizzazione. Tra i nomi al centro dell’inchiesta figura Mohammad Hannoun, indicato come referente della cellula italiana e già segnalato in passato per il suo ruolo all’interno del Centro Islamico Genovese. Secondo gli atti giudiziari, Hannoun avrebbe avuto una funzione di coordinamento nella raccolta e nella destinazione dei fondi, destinando una parte rilevante delle somme raccolte, oltre il settanta per cento, direttamente a Hamas o a entità a essa collegate.

Le investigazioni hanno inoltre ricostruito una rete di soggetti attivi sia in Italia sia all’estero, alcuni dei quali accusati di concorso esterno, per aver garantito un sostegno finanziario continuativo pur senza far parte formalmente dell’organizzazione. L’operazione rappresenta uno dei più rilevanti interventi contro il finanziamento illecito di Hamas in Europa e si inserisce in un contesto investigativo che, secondo la magistratura, affonda le radici già nei primi anni Novanta. Documenti e riscontri raccolti nel tempo hanno consentito di rafforzare l’ipotesi dell’esistenza, nel nostro Paese, di una struttura stabile impegnata non solo nella promozione politica della causa palestinese, ma anche nel convogliare risorse economiche verso l’organizzazione.

Nella nota ufficiale, i vertici della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo hanno sottolineato come le risultanze dell’indagine non possano in alcun modo oscurare le gravi responsabilità legate alle operazioni militari che colpiscono la popolazione civile palestinese, per le quali si attendono valutazioni da parte della giustizia internazionale. Allo stesso tempo, viene ribadito che tali eventi non possono essere utilizzati per giustificare azioni terroristiche o reti di sostegno economico a organizzazioni armate.

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