Fine vita: i vescovi italiani chiedono l’obiezione di coscienza

Dopo la decisione della Corte Costituzionale sul caso Marco Cappato, la Cei - riunita a Roma per confrontarsi sugli Orientamenti pastorali dei prossimi 5 anni - discute sul "fine vita" e chiede la possibilità dell'obiezione di coscienza.

Fine vita: i vescovi italiani chiedono l’obiezione di coscienza

Sono passate poche ore da quando la Corte Costituzionale si è pronunciata sul caso di Marco Cappato, politico e attivista dell’associazione Luca Coscioni accusato di aver aiutato Fabiano Antoniani, conosciuto come dj Fabo, a suicidarsi, che la CEI insorge. A conclusione del consiglio permanente dei vescovi italiani, è stato intervistato segretario generale della CEI, mons. Stefano Russo.

Una Chiesa che ha a cuore l’uomo e la sua dignità non tace. Mons. Stefano Russo ha ricordato che “Il medico esiste per curare le vite, non per interromperle“. Di qui la richiesta che venga consentita ai medici l’obiezione di coscienza. Secondo il vescovo, quella che passa sotto il termine ‘libertà‘ in realtà avvia “i presupposti per una cultura della morte in cui la società perde il lume della ragione“.

Quanto la Consulta ha deciso sul suicidio assistito, non fa chiudere le porte del dialogo tra la Conferenza Episcopale Italiana e le istituzioni italiane, puntualizza il segretario generale della CEI, ma i Vescovi sperano che vengano posti dei “paletti forti” perchè quanto deciso dalla Consulta “Non ci può stare bene“. Inoltre Mons. Russo segnala un iter anomalo: la sentenza sarebbe “arrivata prima di un passaggio parlamentare“, si legge in ansa.it.

Consiglio permanente CEI: comunicato finale

Il tema del ‘fine vita’ è stato uno degli argomenti più discussi nei quattro giorni di lavori del Consiglio. Nel comunicato finale reso pubblico, si legge che i vescovi uniscono la loro voce a quella di tutti coloro che sono preoccupati per le scelte di questi giorni che provocheranno conseguenze profonde sul piano culturale e sociale. I Vescovi sono consapevoli che il tema “si presti a strumentalizzazioni ideologiche“, e ascoltando le “paure che lacerano le persone davanti alla realtà di una malattia grave e della sofferenza” riaffermano “il rifiuto dell’accanimento terapeutico“, perchè “l’intervento medico non può prescindere da una valutazione delle ragionevoli speranze di guarigione e della giusta proporzionalità delle cure”.

La dignità della persona, punto fermo per la Chiesa, porta i Pastori ad andare oltre il veto del diritto al suicidio, rilanciando l’impegno e l’attenzione nei confronti dei malati in fase terminale e dei loro familiari. Questa vicinanza, contrastando solitudine e abbandono, aiuta a riconoscere il valore della vita, “dono e responsabilità“, è attenta all’educazione e alla formazione di coloro che operano nelle strutture sanitarie di ispirazione cristiana, “rivendica la possibilità di esercitare l’obiezione di coscienza“, qualora venisse chiesto di essere aiutati a morire, sostiene il significato della professione medica, riconoscendole il compito di servire la vita.

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