Femminicidio Viviana Caglioni, sentenza choc dei giudici: "Troppo geloso per volerla uccidere"

Una sentenza che farà discutere quella che condanna Christian Locatelli, l'omicida di Viviana Caglioni, a soli 18 anni di carcere. Per i giudici non ci fu volontarietà: pronto il ricorso del pm.

Femminicidio Viviana Caglioni, sentenza choc dei giudici: "Troppo geloso per volerla uccidere"

Sono passati quasi due anni da quando Viviana Caglioni, a soli 34 anni, e una vita molto difficile alle spalle, è morta dopo una settimana di agonia a causa delle botte del fidanzato, Christian Locatelli. Quest’ultimo, un 43enne di Bergamo dall’indole violenta, ha subito proprio in queste ore una sentenza di condanna a 18 anni di carcere che, secondo molti, farebbe discutere.

Nonostante, per i giudici, non ci sia alcun dubbio che la giovane donna sia morta a causa dei maltrattamenti subiti dal Locatelli, suscita scalpore un passaggio della sentenza nella quale si ridimensiona in parte la responsabilità dell’assassino. Pronto il ricorso del pm Paolo Mandurino, il quale fa leva proprio su queste motivazioni ritetute controverse e prive di logica.

Ecco la motivazione dei giudici

Sebbene, per la Corte, non vi sia alcun dubbio che la vittima sia deceduta in seguito alle percosse del 43enne che, nella ricostruzione ufficiale del femminicidio, avrebbe causato la morte della donna facendole battere violentemente la testa dopo una spinta, non sono però convinti che l’assassino avrebbe agito con l’intento deliberato di ucciderla.

Infatti, da quanto si legge nel passaggio controverso della sentenza: “Se non fosse sopraggiunta la caduta, gli schiaffi e i calci di Locatelli mai ne avrebbero determinato la morte”. A suffragare questa tesi, la circostanza che lo zio della vittima, testimone oculare dell’accaduto, non fosse intervenuto a difendere la nipote, in quanto, secondo i giudici, anch’egli non avrebbe ritenuto così grave, rispetto al solito, quell’episodio di violenza. In sintesi, il parere della Corte, ritenuto per certi versi contraddittorio, sarebbe quello che, si riscontrerebbe incompatibilità tra il senso di profonda gelosia e di possessività che muoveva l’aggressività dell’assassino, rispetto alla volontà di ucciderla. 

Questa interpretazione dei giudici non è di poco conto, in quanto, escludendo la volontarietà dell’omicidio, si riduce sensibilmente anche la responsabilità dell’assassino, al quale è stata comminata una sentenza di condanna a ‘soli’ 18 anni di carcere, anzichè l’ergasto, come richiesto dal pm. Pronto, infatti, il ricorso di quest’ultimo, che commenta esterrefatto la sentenza: “Davvero non si comprende per quale ragione, secondo la Corte d’Assise, il movente della gelosia, pure riconosciuto dal giudice, sarebbe di per sé incompatibile con la volontà di Locatelli di liberarsi della compagna”.

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